Salute e bellezza: il cappero, delizia agrodolce dalle proprietà diuretiche.
Il cappero, questo conosciuto. O forse non tanto. Il cappero (capparis spinosa) è una pianta molto diffusa nei paesi del Mediterraneo, perché predilige il sole e il caldo e non necessita di molta acqua, ragion per cui la troviamo rigogliosa nelle rocce, fra le pietre e nei luoghi più aridi anche all’interno delle stesse città. In Sardegna, il cappero è diffuso soprattutto nella zona del cagliaritano e nel sassarese. A Cagliari, non è inusuale vederla arrampicata con i suoi rami verdi sulle rocce di Castello o negli spazi incolti del resto della città. Nel cagliaritano sono note le coltivazioni di capperi di Selargius; pare, infatti, che il cappero sia stato introdotto qui nel 1800 grazie ad una famiglia originaria di Genova che ne promosse la coltivazione nei campi selargini. La pianta veniva commercializzata e apprezzata nel mondo greco-latino ma solo a partire dal 1500, grazie agli arabi, ne verrà iniziata la coltivazione su larga scala. Il suo nome deriva dall’arabo kabar e la pianta cresce lungo le fessure dei muri e sulle rupi vestendo di verde le pareti di roccia su cui si inerpica e riuscendo a sopravvivere e a fiorire in zone dove difficilmente altre colture riuscirebbero a vivere.
Si tratta di un arbusto che offre dei prodotti alimentari abbastanza conosciuti nei loro usi in cucina, dei quali comunemente però si ignora spesso l’origine.
Ma quali sono le parti commestibili del cappero? Il più noto e più usato nella cucina sarda e meridionale italiana e il bocciolo del fiore del cappero, detto anch’esso cappero; si raccoglie a partire da maggio quando la pianta è in piena esplosione vegetativa e, se lasciato sulla pianta, si sviluppa e sboccia mostrando una corolla fatta di petali bianchi e stami violacei. Il tempo della raccolta dei capperi, prima della fioritura, si protrae per tutta l’estate, perché i fiori sbocciano in continuazione. I capperi che tutti conosciamo sono i boccioli dei fiori non ancora schiusi e in cucina sono conservati sotto sale, sott’aceto o in salamoia, e vengono utilizzati in mille modi per preparare primi piatti, secondi, salse e condimenti grazie al loro sapore molto forte e caratteristico. La pianta infatti ha un uso più alimentare che propriamente medico: da questo punto di vista però nella medicina popolare veniva utilizzata la radice alla quale sono attribuite proprietà diuretiche e stimolanti la funzionalità epatica; tutte le parti della pianta contengono vitamina C, ferro e rame. Al cappero sono riconosciute proprietà digestive: nella medicina della tradizione veniva utilizzato dopo aver preparato un vino che si assumeva a piccole dosi dopo i pasti.
Non sono però solo i fiori del cappero ad essere utilizzati in cucina. Terminata la fioritura, iniziano a comparire nella pianta i frutti, verdi e dalla forma allungata. Anche i frutti sono raccolti e conservati sotto sale, olio o aceto.
Selargius, a pochi passi da Cagliari, è considerata la patria del cappero: da sempre l’orticoltura, l’agricoltura e il commercio hanno caratterizzato il paese e, al fianco della coltura della vigna, nonché ai piedi degli alberi di mandorlo, si coltivavano i capperi (“is tapparas”in lingua sarda). A. D. Atzei in Le piante della tradizione popolare della Sardegna, racconta: “A Selargius i flebotomi (figure popolari della tradizione che praticavano i salassi, ndr.), che coltivavano appositamente la pianta, col decotto di corteccia del ceppo curavano le varici sanguinolente di cui soffrivano le donne selargine”. È a partire dalla seconda metà dell’800 che i capperi vennero introdotti nella gastronomia grazie alla famiglia Dentoni, di origine genovese, ed in particolare Domenico Dentoni, a quel tempo sindaco di Selargius, che diede inizio alla coltivazione su maggiore scala, rendendo l’agro selargino unico in Sardegna in questo campo.
Le donne selargine li compravano nelle campagne dai coltivatori e, grazie a is crobis, le ceste, sorrette sulla testa, li portavano nei mercati a Cagliari per rivenderli. Gli uomini ne caricavano chili e chili sui carri e giravano per tutta l’Isola cercando acquirenti per il delizioso frutto, facendo sì che questi saporitissimi boccioli potessero essere prima apprezzati e poi introdotti nella cucina tipica di buona parte della Sardegna.
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