Quando si pensa all’elemento dell’acqua riferito alla Sardegna si pensa subito al mare, che circonda l’intera Isola per quasi 2 mila km di costa. In realtà all’interno della regione scorrono numerosi corsi d’acqua dolce.

Alcuni sono dei veri e propri fiumi, altri sono più equiparabili a dei torrenti. Ma quanti e quali sono i fiumi della Sardegna?

Facendo un rapido censimento tra quelli con almeno 5 km di percorso, ce ne sono circa novanta. Andiamo a scoprire i 20 più importanti.

Tirso

Il “re” dei fiumi sardi è il Tirso. Lungo 152 km nasce da Punta Pianedda (Buddusò) e sfocia nel golfo di Oristano, mar di Sardegna. Nel mezzo si forma il lago Omodeo, il più grande dell’Isola.

Flumendosa

Non il più lungo, ma quello con la portata d’acqua maggiore e con gli scenari più suggestivi. Nasce nel massiccio di Monte Perda Aira, nel territorio di Gairo, e “muore” nel mar Tirreno nella zona di Villaputzu. Diversi i laghi omonimi che si sviluppano lungo il suo corso.

Coghinas

Il terzo fiume più lungo della Sardegna si trova a nord. Nasce nei monti di Alà (tra Alà dei sardi e Buddusò) e sfocia nel mar Tirreno, presso Badesi. È lungo 116 km e fornisce l’acqua al bacino omonimo.

Cedrino

È lungo invece 80 km il Cedrino, quarto corso d’acqua dolce più importante della Sardegna. Nasce nel Monte Fumai e muore nel mar Tirreno a Orosei.

Taloro

Questo fiume barbaricino lungo 63 km è il primo per lunghezza tra i corsi d’acqua non principali. È infatti un affluente del Tirso, in cui sfocia all’altezza dell’Omodeo. Ha una portata molto importante e grazie a esso si forma il lago di Gusana. Nasce nel monte Fumai.

Riu Mannu

Questo fiume scorre in provincia di Sassari ed è lungo 56 km. Nasce dal Monte Sa Figu e sfocia nella zona di Porto Torres, nel golfo dell’Asinara.

Temo

Il fiume Temo, 55 km di lunghezza, è sicuramente uno dei più caratteristici. È l’unico fiume navigabile della Sardegna e sfocia direttamente nella città di Bosa, città fluviale per eccellenza dell’Isola. Nasce nei monti di Villanova Monteleone.

Detto dei più importanti ecco tutti gli altri compresi nei venti corsi d’acqua principali:

Posada (50 km), Flùmini Mannu di Cagliari (42 km), Flumineddu (59 km), Liscia (57 km), Mannu di Ozieri, Mores e Giave (50 km), Massari (49 km), Araxisi (47 km), Mannu di Lodè e Bitti (45 km), Cixerri (40 km), Quirra (40 km), Leni (33 km), Liscoi (33 km), Ollastu (32 km).

 

 

L’articolo Quanti e quali sono i fiumi della Sardegna? Tutti i principali corsi d’acqua dolce dell’Isola proviene da ogliastra.vistanet.it.


Fonte: Ogliastra News Mario Marcis

In questo ultimo week end la polizia di stato ha intensificato i controlli sulle principali arterie stradali della Sardegna.

Verso le 5 di questa mattina un equipaggio della polizia stradale di Macomer è intervenuto per un pericoloso incidente avvenuto sulla strada statale 131, in territorio di Abbasanta. il conducente di un tir si è trovato all’improvviso davanti a 3 cavalli usciti da un terreno confinante con la superstrada. L’autista del veicolo, fortunatamente rimasto illeso, non è riuscito ad evitarli e l’impatto ha provocato la morte dei tre animali.

Nelle prime ore del mattino del 25 aprile invece una pattuglia della polizia stradale di Macomer, a ridosso della strada statale 131 ha rinvenuto, abbandonati, 9 cuccioli infreddoliti di pastore maremmano. I cagnolini sono stati messi in salvo e affidati ad una struttura veterinaria del posto.

Per entrambi i fatti la polizia stradale sta procedendo agli accertamenti per l’identificazione dei responsabili.

L’articolo Tir si trova davanti improvvisamente tre cavalli imbizzarriti sulla 131: gli animali muoiono investiti proviene da ogliastra.vistanet.it.


Fonte: Ogliastra News Mario Marcis

“La situazione sanitaria nella nostra Isola è quanto mai delicata e non manca giorno che non vengano segnalati casi di pazienti che si vedono negato il diritto alle cure e all’assistenza. Oltre ai
disagi causati dall’evento pandemico, determinante risulta la carenza di medici e di personale sanitario. Certo è che alcuni territori, quelli periferici e poco popolati come quello da cui provengo,
sono maggiormente penalizzati di altri. A ciò si aggiunga che alcune patologie necessitano, comunque, di strutture apposite e qualificate che nell’isola sono poche e, al momento, poiché
provate dall’emergenza, non in grado di soddisfare le richieste di tutti i pazienti. Per questo Le scrivo, per rappresentarle il caso di un giovane 38enne vittima lo scorso ottobre di
un drammatico incidente stradale che lo ha costretto all’immobilità”.

Questo l’incipit della lettera inviata dal consigliere regionale ogliastrino Salvatore Corrias al ministro della salute Roberto Speranza sul caso di  Paolo Brughitta, il 38enne di Tortolì di cui vi abbiamo parlato nei giorni scorsi.

“Il giovane Paolo Brughitta – scrive Corrias a Speranza – avrebbe dovuto avviare la terapia di riabilitazione, verso la quale medici e familiari nutrono fondate speranze, per la ripresa delle funzionalità, ma Covid e situazioni contingenti non lo hanno consentito. La sua famiglia, la moglie in primo piano, chiede che il paziente possa essere trasferito in un centro di eccellenza della penisola che si occupa di quella specifica patologia, evidenziando come la rapidità di intervento sia in questi casi determinante per una buona riuscita delle terapie”.

“Non è mia abitudine farmi portavoce di casi particolari ma la vicenda mi ha colpito e l’ho voluta sottoporre alla sua attenzione – conclude il consigliere del Pd -. In tempi normali si sarebbe potuto prescindere da un mio o un Suo intervento ma ora no. Le chiedo, perciò, di fare quanto in suo potere per consentire al paziente di avviare in tempi rapidi il percorso di cura e assistenza a cui ha diritto. Confidando in un suo interessamento, Le porgo miei più cordiali saluti”.

L’articolo Il caso del tortoliese Paolo Brughitta arriva al ministero della Salute: Corrias scrive a Speranza proviene da ogliastra.vistanet.it.


Fonte: Ogliastra News Mario Marcis

Un contadino si levò all’alba per andare a mietere il grano. Era già fuori dal paese quando si accorse di aver dimenticato a casa la falce. Tornò indietro e in pochi minuti raggiunse la sua abitazione. La porta di casa, che aveva lasciato accostata, era chiusa. Sapeva di aver lasciato la moglie a letto e si mise a bussare, ma nessuno rispose. Bussò ancora con insistenza ma nessuno aprì. Pensando che la moglie fosse stata colta da un malore, si infilò dentro casa da una finestrella. Entrò in camera e trovò la donna che fingeva di dormire.

“Perché non hai aperto?” le chiese irritato. “Non ho sentito” rispose lei “dormivo profondamente”. Il contadino stava per uscire dalla camera quando gli parve che sul guanciale anziché una testa ve ne fossero due. Pensò di aver frainteso a causa della semioscurità e tornò in campagna. Ma lungo il cammino gli tornarono in mente quelle due teste. Possibile che la moglie lo tradisse? Ma no, era una donna seria sua moglie. La semioscurità produce abbagli. Così fugò i cattivi pensieri e si mise a lavorare in campagna.

Intanto la moglie, che davvero si trovava a letto con un giovane del vicinato, iniziò a preoccuparsi. Se il marito l’avesse scoperta, sarebbero stati guai. Così, piena di timore, decise di correre ai ripari. Si recò a chiedere consiglio ad una vecchia che tutti ritenevano esperta nel risolvere simili situazioni. “E’ venuto a casa un mendicante” disse la moglie del contadino alla vecchia “Era infreddolito e per scaldarlo l’ho fatto entrare nel mio letto. Non so come mio marito la prenderà…se si è accorto”.

La vecchia la guardò con occhi penetranti, a lei non sfuggiva nulla. Ne aveva visto di casi nella vita! “Lascia fare a me” disse alla donna. “Dimmi, piuttosto, cos’ha mangiato ieri sera tuo marito?”, “un piatto di lumache” rispose la giovane, perplessa. La vecchia non diede spiegazioni, le disse solo di tornare a casa e di aspettare il marito come sempre, tranquilla. Poi, con il fuso e la cocchia in mano, si diresse verso la campagna dove l’uomo lavorava. Lo trovò impegnato nel lavoro, grondante di sudore. “Salude a tottus” disse la vecchia. Lui rispose: “E che, non ci vedi? Sono solo!”, “bah, siete in tre e mi dici che sei solo?”.

L’uomo sollevò lo sguardo. Forse la vecchia era ammattita? Così le rispose: “Buona donna, forse il sole ti ha dato alla testa e vedi doppio. Sono solo”. “Davvero?” disse lei. “Allora mi sta succedendo quello che è capitato al nostro parroco. L’altra notte mangiò a cena dei lumaconi e la mattina dopo, mentre diceva messa, credeva di vedere due Gesù, uno accanto all’altro, nella medesima ostia!”.

Il contadino rimase a bocca aperta pensando ai lumaconi che anche lui aveva mangiato la sera prima. “Pare che questo cibo faccia strani effetti” continuò la vecchia. “Io li ho mangiati ieri e adesso vedo tre persone anziché una”. Allora il contadino, sicuro di aver preso un abbaglio, raccontò alla donna ciò che aveva creduto di aver visto di mattina. Al che la vecchia domandò: “Ma tu ieri notte cosa hai mangiato?”. “Lumaconi!”.

“Eh già, lo dicevo io che quelle bestiacce fanno brutti scherzi. Per questo hai dubitato di tua moglie, che è così una brava donna! La conosco da quando è nata. Non c’è in paese una donna più seria di lei”. Così la vecchia imboccò la via del ritorno. E il contadino, rasserenato, continuò a lavorare.

La sera, tornato a casa, raccontò alla moglie della vecchia e dei lumaconi. Da quel giorno la moglie gli preparò spesso a cena i lumaconi e il marito si divertiva moltissimo a quella specie di allucinazione che gli faceva vedere due e anche tre teste nello stesso letto.

 

Tratto da “Leggende e racconti popolari della Sardegna” di Dolores Turchi

L’articolo Leggende ogliastrine. La storia del contadino tradito dall’astuta moglie e dei…lumaconi proviene da ogliastra.vistanet.it.


Fonte: Ogliastra News Mario Marcis

La ferula, contiene un inibitore della vitamina K responsabile della coagulazione, quindi se ingerita provocherebbe forti emorragie. Il bestiame però istintivamente ne conosce la pericolosità e non lo mangia. Il problema si pone quando pascoli e prati con ferula vengono sfalciati insieme al fieno per fare scorta di mangime, in questo modo il bestiame non è più in grado di distinguerlo e lo ingerisce, con conseguenze in alcuni casi mortali.

Negli anni ’60 i pastori sardi vista la vastissima diffusione della ferula, chiesero alla Regione interventi per eradicare questa pianta infestante. La Regione allora decise senza studi preliminari, senza nemmeno un censimento che accertasse il numero effettivo di capi morti a causa di quello che veniva chiamato “Mal della ferula”, una campagna di eradicazione della pianta. Si procedette tramite l’uso di diserbanti chimici come Picloram e Tordon che non solo inquinarono terreni e falde acquifere, ma dal momento che venivano irrorati prima della fioritura, devitalizzavano la parte aerea e le radici che rimanendo nel terreno lo inquinavano anche con materiale marcescente.

Oltre il danno anche la beffa, infatti la campagna di eradicazione risultò fallimentare, perché la ferula, fortunatamente continuò a proliferare indisturbata. Fulco Pratesi presidente del WWF, criticò aspramente tutta l’operazione, perché in realtà l’unica specie di ferula veramente tossica è quella che si trova sull’isola dell’Asinara. Questa pianta come tutta la flora spontanea ad endemica ha una sua funzione ben precisa nell’ecosistema ed eradicarla avrebbe provocato uno squilibrio. La ferula per esempio è l’unica pianta di cui si ciba il Papilio hospiton, una farfalla che allo stadio di bruco senza questa pianta si estinguerebbe. Inoltre la ferula, che produce un lattice tossico per alcuni predatori, consente ad altri insetti di depositare al sicuro le proprie uova.

La tossicità di questa pianta attiva solo in alcune sue parti, varia da zona a zona, e anche in base alla stagione e a quanto ha piovuto. Comunque il suo gambo è commestibile cotto, infatti in tempo di guerra veniva cotto sotterrato sotto la brace e la sua polpa veniva mangiata. I suoi gambi resistenti ma leggeri, una volta essiccati venivano e vengono tuttora utilizzati per la realizzazione di piccoli mobili e soprammobili scolpiti. Inoltre la ferula è carissima ai cercatori di funghi infatti intorno alle sue radici cresce il pregiato pleurotus, il nostro “Cardulinu”.

L’articolo Lo sapevate? Negli anni ’60 la Regione cercò di eradicare la ferula chimicamente, ma (fortunatamente) fallì miseramente proviene da ogliastra.vistanet.it.


Fonte: Ogliastra News Mario Marcis

In Sardegna si registrano oggi 461 ulteriori casi confermati di positività al COVID (di cui 292 diagnosticati da antigenico). Sono stati processati in totale, fra molecolari e antigenici, 2720 tamponi.

I pazienti ricoverati nei reparti di terapia intensiva sono 14 ( -2 ).

I pazienti ricoverati in area medica sono 311 ( +2 ).

30607 sono i casi di isolamento domiciliare (+84).

Si registrano 10 decessi: una donna di 74 e due uomini di 75 e 81 anni, residenti della provincia di Sassari; tre donne di 75, 91, 95 anni e tre uomo di 72, 81, 84 anni, residenti nella Città Metropolitana di Cagliari, e una donna di 94 anni, residente nella provincia del Sud Sardegna.

L’articolo Covid-19 in Sardegna: 461 nuovi casi e 10 vittime nelle ultime 24 ore proviene da ogliastra.vistanet.it.


Fonte: Ogliastra News Mario Marcis

Si diceva che la porta dell’Inferno si trovasse presso Gairo, a Perda Liana.  Per diventare ricchi, bastava andare lì di notte e invocare i diavoli. Questi, in cambio dell’anima, avrebbero dato agli uomini qualunque cosa. Quando qualcuno diventava ricco in poco tempo e il suo benessere non aveva una spiegazione logica, la gente era convinta che si fosse recato a Perda Liana a vendere la propria anima al demonio e affermava con tono sicuro: “A sa Perda Liana, su hi heres ti dana!” ( A Perda Liana ti danno ciò che vuoi).

Una volta decise di andarci un giovane che pur di diventare ricco, era disposto a vendere al diavolo la propria anima. Dopo giorni di cammino, giunse finalmente a Perda Liana. Era il tramonto e quel tacco calcareo emanava suggestivi colori che nel silenzio della contrada avevano qualcosa di sinistro.

Il giovane si sedette e attese. A mezzanotte ecco apparire una frotta di diavoli, che cominciarono a danzare in cima al Toneri. L’uomo si rivolse ad uno della congrega e disse che voleva parlare con il capo. Gli fu indicato un diavolo più grosso degli altri, che tirava per la cavezza un somaro e lo faceva girare intorno come se muovesse una macina. L’asino aveva in groppa una bisaccia carica di monete d’oro, che mandavano un gradevole tintinnio. Pesavano tanto che la povera bestia quasi zoppicava.

Al suono delle monete l’uomo si rallegrò e già le immaginava in suo possesso, quando vide in piena luce il viso del diavolo e si sentì venire meno. Ebbe una grande paura e pensò di fuggire ma le gambe non rispondevano alla sua volontà. Per un istante si sentì perduto, ma poi si riprese e disse a gran voce: “Joseph, Maria cum Jesus, itt’est custa camarada! Santa Giuglia avocada mi che vochet dae mesus!” ( Giuseppe, Maria e Gesù, cos’è mai questa congrega? Santa Giulia avvocata, mi porti via da qui!).

A tale invocazione i diavoli scomparvero, quasi la terra li avesse inghiottiti, lasciando scie di fuoco dappertutto. Il malcapitato se ne tornò a casa più povero di prima.

 

(Tratto da “Leggende e racconti popolari della Sardegna” di Dolores Turchi, Newton Compton Editori)

L’articolo Leggende ogliastrine. Diventare ricchi? Bastava andare a Perda Liana a Gairo e invocare i diavoli: era la porta dell’inferno proviene da ogliastra.vistanet.it.


Fonte: Ogliastra News Mario Marcis

Incendio in abitazione presso il Comune di Cardedu in località “Murcu”.

Alle 16:10 circa due squadre dei Vigili del Fuoco di Lanusei e Tortolì sono intervenute per estinguere un un’incendio che ha interessato un’abitazione di proprietà di un pensionato di 76 anni residente a Barisardo, che al momento dell’incendio non era a casa.

La combustione, seguita da due esplosioni, pare abbia avuto origine per cause accidentali. Il forte irraggiamento termico del rogo ha gravemente danneggiato l’edificio rendendo una parte di esso inagibile.

Sul posto i Carabinieri della Stazione di Cardedu.

L’articolo (FOTO) Cardedu, abitazione devastata da un incendio accidentale proviene da ogliastra.vistanet.it.


Fonte: Ogliastra News Mario Marcis

Riceviamo e pubblichiamo la lettera inviata alla nostra redazione dalla giornalista lituana Daiva Lapėnaitė, presidente della Comunità Lituana in Sardegna e residente a Cagliari da circa 22 anni.

Una lettera che parte dalla sua infanzia sotto il regime sovietico per parlare dell’attuale situazione bellica in Ucraina e dei risvolti mediatici della stessa in Italia.

Ecco il testo della lettera

“L’inviato fisso al programma Cartabianca della televisione di stato italiano Rai3 il professor Alessandro Orsini sostiene che il suo nonno durante il fascismo abbia avuto un’infanzia felice. Ho avuto l’infanzia sotto i sovietici. I miei nonni e i miei genitori hanno vissuto per 50 anni sotto i sovietici. Non è stata un esperienza felice, anzi, non la augurerei a nessuno.

Sono nata a Vilnius, la capitale della Lituania. Uno stato indipendente, sovrano, libero che, però, ha vissuto sulla propria pelle il giogo sovietico. Per mezzo secolo.

Quando nacqui la mia patria non era libera, non era indipendente, era soppressa dietro la cortina di ferro sovietica. Sapete perché questa cortina? Perché quello che i russi facevano ai popoli occupati, annessi, sottomessi avrebbe fatto venire la crepapelle anche al nonno di Orsini.

Durante la mia infanzia non avevo i peluche colorati, non avevo Cicciobello o altri giocatoli comuni ai bambini nel mondo libero. Avevo i giocattoli di ferro, i cartoni animati impregnati di propaganda, i vestiti e i palazzi saturi di grigiore opprimente. Per andare a scuola dovevo indossare l’uniforme marrone scuro con il fazzoletto rosso al collo – il simbolo della bandiera sovietica. Dovevo studiare la lingua russa, la storia riscritta secondo i sovietici e la biografia di Lenin e ogni 22 aprile, il giorno del suo compleanno, dovevo portare i fiori di petali blu, žibutės, i primi fiori che spuntano nei boschi lituani dopo l’inverno, e depositarli ai piedi del monumento di Lenin, eretto nella piazza centrale della mia città. La mia città, la mia nazione, il mio popolo – che non ha niente a che fare né con la lingua russa, né con la religione ortodossa, né con la mentalità del russkij mir (mondo russo). Ciononostante invaso, occupato, annientato per fare spazio al “sole sovietico” dallo stesso popolo che oggi applica il suo modus operandi ad un altro popolo.

Quello che ora vediamo in Ucraina, noi in Lituania e in tutti i paesi nel secolo scorso finiti sotto la zampa del russkij mir, lo abbiamo già vissuto. Per almeno mezzo secolo. Da qui il russorealismo. Mentre il resto d’Europa, quella dall’altra parte del sipario di ferro, andava serenamente avanti, costruiva, cresceva, viveva. Noi non vivevamo. Arresti, torture, violenze, saccheggi, genocidio. Sradicati dalla nostra casa, dalla nostra terra e spediti verso la Siberia, stipati nei vagoni per gli animali.

Moltissimi, per non finire sterminati con intere famiglie, sono scappati. In tanti, particolarmente i sacerdoti, i diplomatici, gli artisti hanno trovato il rifugio in Italia. Tuttavia più di 20 milioni di persone, là dove sono entrati i russi, sono finite con le mani legate, sparate alla nuca, nelle fosse comuni. E chi non è finito nelle fosse comuni ha vissuto mezzo secolo di soppressione totale di qualsiasi libertà di pensiero, di scelta, di semplice movimento. Sapevate, che nessuno da dietro quella cortina di ferro poteva andare all’estero e nessuno dall’estero poteva mettere il piede in quel “glorioso impero sovietico” senza un permesso speciale e senza un agente KGB assegnato?

Sapete che tutte le chiese in quell’impero erano trasformate in gallerie nel migliore dei casi, semplicemente distrutte, derubate di tutto e chiuse nella maggioranza dei casi. Da bambina, mia nonna mi portava a fare il catechismo, clandestinamente, e io non potevo dirlo a nessuno se non volevo “problemi” per i miei genitori.

Sapete come si viveva dietro la cortina di ferro? Non si viveva. Per il popolo sovietico non esiste l’essere umano, non esiste il concetto della libertà o di diritti umani. Un essere umano – donna, uomo, bambino o nonno che sia – è soltanto uno strumento per costruire la “grande aurora sovietica” – un sole che non scalda, che non fa crescere niente, non illumina. Distrugge, annienta, elimina tutto quello che trova nel suo raggio.

E tutto questo per Orsini, un professore di una prestigiosa università italiana, che forma le giovani menti italiane, sarebbe una vita felice per un bambino? Che tipo di essere umano diventerebbe un bambino cresciuto in tale mondo? Un mostro. Un barbaro. Uno zombie. Esattamente come i soldati russi che oggi vediamo nei territori occupati dell’Ucraina dove distruggono, torturano, violentano, saccheggiano e lasciano terre e vite bruciate. Lo hanno fatto nella mia patria, impuniti. E continueranno a farlo, ovunque, se non saranno fermati.

In realtà è tutto molto facile. Siamo davanti alla guerra. Sì, le bombe oggi non cadono sopra le nostre case, ma sopra i nostri valori – quelli fondamentali della libertà, della democrazia, dei diritti umani. E nelle guerre non ci sono cinquanta sfumature di grigio. C’è una parte o l’altra. Chiudere gli occhi, cercare le giustificazioni, preferire il comodo “sono per la pace”? O aprire gli occhi e, nonostante tutto lo sconcerto per le illusioni crollate, nonostante tutto l’orrore che ci si apre davanti, nonostante tutte le paure che ci percuotono, sapere, vedere e, di conseguenza, fare?

Essendo noi abitanti di un’era planetaria che vive di informazioni, non c’è forse azione più pericolosa del lasciar trapelare prospettive fallaci, mancanti di ragionamento critico. Nel migliore dei casi parole come quelle del professor Orsini restano nell’incosciente memoria dello spettatore, nel peggiore dei casi invece produrranno un popolo ambiguamente educato al ragionamento fittizio, non in grado di maneggiare le informazioni con praticità ed efficacia, destinato a essere il lasciapassare per il male impunito, giustificato, addirittura romantizzato”.

L’articolo Lettera aperta a tutti gli ‘Orsini’: “Ho avuto l’infanzia sotto i sovietici. Non è stata felice” proviene da ogliastra.vistanet.it.


Fonte: Ogliastra News Mario Marcis

La Roccia dell’Orso è uno dei monumenti naturali più noti della Sardegna.

Si trova nei pressi di Palau dove domina a 120 metri d’altezza la zona, ed ogni anno migliaia di persone accorrono a visitare questa “opera d’arte” lavorata dagli agenti atmosferici nel tempo.

La sagoma assomigliante in modo stupefacente all’orso che scruta il mare, da il nome al capo che guarda il parco dell’arcipelago della Maddalena.

Questa zona sembra avvolta fa un alone di mistero, e a confermarlo è lo scrittore Victor Berard – celebre studioso di Omero – che afferma che la “terra dei Lestrigoni”, i giganti cannibali protagonisti del decimo libro dell’Odissea, sia identificabile con questo luogo del Mediterraneo.

Il mito narra dello sbarco di Ulisse nei pressi della fonte Artacia, in cerca di cibo e acqua per l’equipaggio. Ben presto però i Greci divennero il pasto per i temuti giganti, e furono costretti a una fuga disperata dopo aver perso numerosi uomini.

La prima attestazione storica della “scultura” realizzata dalla natura è del geografo greco Tolomeo (II secolo d.C.), che oltre a darne le coordinate, ha raccontato del terrore che incuteva ai naviganti perché in grado di attirare le navi, quasi come un magnete. In effetti nello specchio d’acqua di fronte la roccia, sono stati rinvenuti relitti di imbarcazione di varie epoche, a conferma anche di un intenso traffico navale nel corso dei millenni.

La roccia granitica, si presenta levigata, quasi scavata in superficie, e si presenta con un tonalità di colore che vanno dal giallo e rosato. Nella zona sono presenti vari percorsi archeologici e naturalistici, inoltre meritano di essere visitati la Fortezza di Monte Altura e l’affascinate Museo Etnografico.

 

L’articolo Lo sapevate? In Sardegna si trova la Roccia dell’Orso: uno dei monumenti naturali più famosi dell’Isola proviene da ogliastra.vistanet.it.


Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda