Con una bellissima carrellata di immagini d’epoca, Giuseppe Puncioni riesce a raccontare la storia di Tortolì e Arbatax.

Personaggi del passato, abiti della tradizioni, scorci di monumenti e spiagge che oggi hanno cambiato completamente aspetto, scatti del centro storico e delle attività del tempo: questo e tanto altro in questo lavoro di ricerca fotografica davvero certosino.

Il video:

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Fonte: Ogliastra News Michela Girardi

Che la Sardegna per Napoleone Bonaparte non fosse una terra lontana e misteriosa lo si può intuire dai suoi natali. Il condottiero e imperatore francese nacque infatti ad Ajaccio, a poche decine di chilometri da Bonifacio, la cittadina corsa che guarda la Sardegna da nord. Pochi sanno però che anche la prima battaglia di Napoleone si svolse in Sardegna. Fu un piccolo assaggio di quello che poi avvenne nel giugno del 1815 a Waterloo, fu una clamorosa disfatta.

Era il 1793 e la giovane Repubblica francese decise di sferrare un duplice attacco militare al Regno di Sardegna, sia in Piemonte che sull’isola. L’attacco alla Sardegna doveva avvenire contemporaneamente a Cagliari, con una flotta guidata dal generale Pasquale Paoli e a nord sull’arcipelago de La Maddalena alla guida, tra gli altri,  del giovanissimo ufficiale Napoleone Bonaparte.

La spedizione nel sud diede pochi frutti, se non l’occupazione di San Pietro e Sant’Antioco con la proclamazione da parte del corso Filippo Buonarroti di una repubblica, ma a Cagliari l’assalto non portò i risultati sperati. L’epilogo della seconda spedizione, a cui fu dato il là il 22 febbraio del 1793, non fu certo migliore. I 600 uomini guidati dal generale Pier Paul Colonna de Cesari Rocca e dal 24enne Napoleone Bonaparte fu respinta dalla resistenza orchestrata da Domenico Millelire. Napoleone assaggiò così per la prima volta in Sardegna il sapore della sconfitta.

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Fonte: Ogliastra News Michela Girardi

Venerdì 13 maggio dalle ore 18.30 alle 21.30, ad Arbatax, presso il Chiosco Oyster Bar della Cooperativa Pescatori di Tortolì si svolgerà un apericena che sarà un’occasione per una raccolta fondi a sostegno di Paolo Brughitta.

L’appuntamento è stato organizzato dal Centro di Aggregazione Sociale di Tortolì – che ha raccolto l’idea di un parente di Brughitta – in collaborazione con la Cooperativa Pescatori di Tortolì, di cui è socio il 37enne, rimasto vittima nell’ottobre scorso di un brutto incidente e che sta per iniziare un delicato percorso di riabilitazione in un centro specializzato di Ferrara.

″A cena da Paolo”, così denominato perché oltre a dare un sostegno concreto alla famiglia che dovrà affrontare notevoli spese per stargli accanto, è organizzato nel luogo dove da anni lavora, una sorta di “seconda casa” per lui.

Già da ora è possibile contribuire alla causa di Paolo, con un versamento o un bonifico all’IBAN della sua famiglia, presente nella locandina sottostante.

 

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Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda

La bellezza dell’Ogliastra è rinomata.

Oggi ammiriamo le cascate di Lecorci a Ulassai, a mezzo chilometro dall’abitato, che nascono tra i tacchi calcarei, poco al di sotto della maestosa Grotta su Marmuri.

Ecco le immagini del video di Carlo Usala.

https://youtube.com/shorts/WrkjNYcBiNM?feature=share


 

 

 

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Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda

Lo sapevate? Quali sono i cinque luoghi da vedere assolutamente in Ogliastra?

Sì, lo sappiamo, cinque luoghi non bastano. Cinque soli siti da scegliere in una delle subregioni più belle d’Italia sono proprio pochi. Anche perché l’Ogliastra, terra magica, di grandi contraddizioni, offre veramente una marea di attrazioni. Proprio come la Sardegna. Comunque proviamoci e cerchiamo di spaziare, dal mare al montagna, passando per le bellezze naturali e le strutture costruite dall’uomo. Cinque, non uno di più.

Cala Goloritzè

Il mare d’Ogliastra è risaputo, è uno dei più belli del Mondo. Cala Goloritzè è una delle perle di questo trerritorio. Ciottoli bianchi, acqua cristallina, un arco che viene da tutti fotografato e postato in ogni dove. Situata a nord di Arbatax, dopo Capo Monte Santo a sud del Golfo di Orosei, Goloritzè ha fondali trasparenti e nel 1995 è stata nominata Monumento Nazionale Italiano.

Unisce, poiché gli unici due modi per arrivarci sono via acqua e via terra con un percorso di trekking, l’amore per il mare con quello per le escursioni.

Come si raggiunge

Via mare, a nuoto. Sono diverse le opzioni di traghetti – che partono da Cala Gonone o da Santa Maria – presenti in zona. Spesso, grazie a pacchetti specifici, si possono visitare anche altre Cale in un solo giorno. Si può raggiungere anche utilizzando imbarcazioni sprovviste di motore, nei 300 metri prima della battigia. Tutto questo, per salvaguardare la sabbia.
Via terra, tramite un lungo percorso che parte da Baunei. Si devono seguire le indicazioni per Golgo e lasciare l’auto a Su Porteddu (dove va lasciata l’auto). Da qui, si originano vari percorsi, sempre adeguatamente indicati. Con il percorso classico, ci si arriva in un’oretta. La risalita necessità di circa un’ora e mezza.

Servizi

Non esistono servizi. La spiaggia è incontaminata.

Su Sterru

Autentico monumento naturale della Sardegna, su Sterru di Baunei (detto anche s’Isterru) è la voragine a campata unica più profonda in Europa e precipita per ben 270 metri di profondità con un diametro tra i 25 ed i 40 metri, tanto che rimase largamente inesplorata fino agli anni ’50 perché non c’erano corde abbastanza lunghe per calarsi di sotto e si pensò potesse essere un antico camino vulcanico, mentre gli studiosi ne hanno poi accertato l’origine carsica.
Si tratta di un luogo sede di antiche e spaventose leggende che narrano della tana di un orrendo serpente, lo scultone, al quale, per placarlo, venivano offerte sette fanciulle. In realtà la cavità è abitata dal ben più mite geotritone sardo (endemismo sardo).

Gorropu
Nell’entroterra della Sardegna, uno dei trekking più belli e impegnativi nel cuore del Supramonte, vi condurrà in uno dei territori più selvaggi dell’Isola. Gorropu è uno dei canyon più lunghi d’Europa, con pareti alte centinaia di metri. La gola è visitabile solo a piedi attraverso tre sentieri. Andiamo alla scoperta di questo luogo magico, dove il tempo sembra essersi fermato.

A nord passando nella valle di Oddoene, in territorio di Dorgali: è il percorso meno impegnativo, due ore di cammino con partenza da ponte sa Barva, passando parallelamente al rio Flumineddu – torrente che ha scavato la gola -, fino a raggiungerne l’ingresso. A sud la partenza del sentiero – percorribile in tre ore e mezza tra andata e ritorno – è dagli ovili di Sedda ar Baccas, in territorio di Urzulei. Il terzo itinerario, a est del canyon, parte da Genna Silana, in un’area di sosta della statale 125. Il sentiero, di un’ora all’andata e del doppio al ritorno, è ben segnato. Una ripida discesa tra corbezzoli secolari. Guide esperte possono comunque ideare i propri trekking organizzandosi anche in modo da fare percorsi ad anello.

Ci sono luoghi dove la tecnologia e le macchine devono inchinarsi alla natura. La Gola di Gorropu (che si trova nel territorio comunale di Urzulei e Orgosolo) è uno di questi: dimenticate gli smartphone (o al limite portateli per le foto), armate i vostri piedi di comode scarpe da trekking e preparatevi a vivere la bellezza incantata del canyon più profondo e spettacolare d’Europa.

Qui l’intensa azione erosiva provocata delle acque del Rio Flumineddu ha scavato una gola con pareti altissime sotto le quali vi sentirete una formichina in un mondo di giganti.

Camminerete tra magnifici esemplari di ginepro, endemismi, tassi e foreste primarie di lecci sopravvissute al taglio incontrollato dei carbonai. Siete in mezzo al Supramonte, un vasto sistema montuoso di origine calcarea: questo è il posto più selvaggio della Sardegna, dove vivono e lavorano i caprari nelle loro capanne, i cuiles.

È l’habitat delle aquile reali e dei mufloni: qui si esplicò la resistenza militare e culturale dei Sardi (i cosiddetti “montes insani” citati da Cicerone) davanti alle tante invasioni della storia.

Gorropu in sardo significa dirupo, burrone, gola, voragine. Un’antica leggenda narra che dal punto più stretto e oscuro della gola, dove le pareti si ergono verticali superando i 450 metri, sia possibile vedere le stelle in pieno giorno. È qui, nelle pareti più scoscese, che si dice sboccino di notte, i magici fiori della felce maschio.

Per il trekking è indispensabile considerare alcuni fattori: assenza di segnaletica, orientamento difficile e scarsa copertura GSM. Assolutamente sconsigliato, quindi, affrontare questi percorsi da soli.

Per raggiungere Gorropu si può partire da Genna Silana, nel territorio di Urzulei, con un percorso a bastone in gran parte in discesa all’andata e in salita al ritorno. Per una camminata ugualmente bella, si può passare anche dal territorio di Dorgali, dalle pozze di s’Abba Arva, nella vallata di Oddoene.

La gola di Gorropu si trova nella subregione del Supramonte: per chi parte da Cagliari ci vogliono circa due ore e venti per arrivare nel territorio. (Statale 131, poi dcn per Nuoro, sino a Dorgali o Urzulei). Volendo si può passare anche dalla 125: si impiega più tempo ma ne vale la pena.

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La Cascata Sothai

Un posto forse meno conosciuto ma che merita sono le Cascate di Sothai, poco ad est di Villagrande Strisaili: chi vi si reca potrebbe pensare di trovarsi in Colorado o in un altro stato montagnoso del Nordamerica.

Invece queste cateratte sono proprio in Sardegna e scaturiscono dalle acque del fiume Flumendosa che, attraverso una spettacolare parete di granito, si riversano nel canyon Bau Vigo dopo un salto di trenta metri. Chi le visita è rapito dal suono impetuoso delle acque e dal paesaggio incontaminato.

Per arrivare alle cascate bisogna percorrere quasi due chilometri di bosco tra querce e lecci. Il sito è inserito negli itinerari del CAI – Club Alpino Italiano ed è meta di escursioni da parte di esperti e turisti.

Gairo vecchia

Gairo vecchia è abbandonata nel 1951. Oggi della Gairo ‘vecchia’ è possibile vedere i ruderi degli edifici rimasti tenacemente aggrappati alla roccia del monte Trunconi, che domina sulla valle del rio Pardu, tra viuzze in terra battuta e in selciato collegate da scalette e viottoli inclinati. Nel 1951 cinque giorni di piogge e vento incessanti in Ogliastra resero il nucleo originario di Gairo, già provato da mezzo secolo di frane e smottamenti, insicuro per persone e animali. Le vie si trasformarono in impetuosi torrenti facendo ‘scivolare’ drammaticamente il terreno verso valle. Per ovvie ragioni di sicurezza il borgo fu progressivamente abbandonato: gli ultimi suoi abitanti lasciarono le case nel corso del decennio successivo.

A Gairo vecchia l’atmosfera è molto particolare: qui il tempo sembra essersi fermato. Alcune palazzine avevano tre o quattro piani, oggi in alcune facciate resistono ancora i balconcini in ferro battuto. Ancora, passeggiando nel borgo abbandonato è possibile notare tra le case i caminetti, scale, finestre e pareti intonacate dipinte d’azzurro. Il pensiero riporterà ai momenti in cui la vita qui era ancora presente. Ora invece la sensazione di abbandono pervade ogni cosa, rendendo struggente la visita.

 

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Fonte: Ogliastra News Mario Marcis

Oggi, 9 maggio, in occasione dell’anniversario dalla morte di Aldo Moro, avvenuta in quel giorno del 1978, si celebra in Italia il Giorno della memoria dedicato alle vittime del terrorismo.

La ricorrenza è stata istituita per legge dal 2007 e ricorda tutti coloro che morirono in Italia per mano terroristica, indipendentemente dalla matrice della stessa.

L’AIVITER, associazione italiana per le vittime del terrorismo fondata dal sardo di origini Maurizio Puddu (gambizzato nel 1977 da un attentato delle Brigate Rosse), ha calcolato 200 vittime individuali del terrorismo e 156 vittime di stragi terroristiche.

Anche la Sardegna pagò un salatissimo tributo, soprattutto sul fronte della lotta e del contrasto al terrorismo. I sardi che morirono per mano di terroristi in Italia furono – sempre secondo i dati dell’Aiviter – tredici (non sono conteggiate le vittime di mafia, che vengono commemorate il 21 marzo in concomitanza con l’anniversario della strage di Capaci).

Ecco le loro storie tratte dal sito dell’Associazione, che ringraziamo per la grande memoria storica da loro custodita e tramandata.

Palmerio Ariu

Biografia. Nato a Mogoro (OR) il 2 aprile 1939. Si arruolò nell’Arma nel 1961 e, dopo le prime esperienze presso le Stazioni di Prato alla Drava (BZ) e Villabassa (BZ), fu destinato nel 1965 alla Stazione di Sesto Pusteria.

Descrizione attentato. Alle 21.00 del 26 agosto 1965, alcuni terroristi appartenenti a una organizzazione separatista sud-tirolese – presumibilmente la stessa che il 3 settembre 1964 aveva ucciso il carabiniere Vittorio Tiralongo – esplosero, attraverso una finestra posta al pianterreno della Stazione Carabinieri di Sesto Pusteria, alcune raffiche di armi automatiche che provocarono la morte di Palmiero Ariu e Luigi De Gennaro, due militari dell’Arma.

Salvatore Cabitta

Biografia. Si arruolò nella Guardia di Finanza nel 1962 e, dopo aver frequentato il corso d’istruzione presso la Scuola Nautica di Gaeta, fu assegnato alla Brigata Lido di Ostia. Prestò poi servizio presso varie Brigate della Provincie di Roma e Viterbo. Nel 1964 fu trasferito in provincia di Belluno e nel 1966 presso la Brigata di S. Martino di Casies.

Descrizione attentato. Alle 23.20 del 24 luglio 1966, mentre rientravano in caserma, i finanzieri Salvatore Cabitta e Giuseppe D’Ignoti furono coinvolti in una imboscata tesa da terroristi appartenenti a una organizzazione separatista sud-tirolese. Colpiti da alcuni proiettili esplosi da breve distanza, rimasero gravemente feriti. Morirono il 1° agosto 1966 presso l’Ospedale Civile di S.Candido.

Martino Cossu

Biografia. Si arruolò nella Guardia di Finanza nel 1965 e, dopo aver frequentato il corso d’istruzione, prestò servizio presso la Compagnia del Brennero.

Descrizione attentato. Alle 11.15 del 9 settembre 1966, una bomba ad alto potenziale devastò la casermetta della Guardia di Finanza di Malga Sasso. Tre militari persero la vita. Due morirono sul colpo e il terzo, il successivo 23 settembre. Altri quattro militari rimasero feriti. Autori della strage – da iscriversi tra quelle riferibili al terrorismo sud-tirolese -furono individuati e condannati.

Alessandro Floris

Biografia. Alessandro Floris, scapolo di 31 anni, è dipendente da tre anni dello IACP di Genova, tra i cui compiti vi era quello di accompagnare il capoufficio a ritirare gli stipendi degli impiegati. Insignito della medaglia d’oro al valor Civile “alla memoria”, il 30 marzo 1971.

Descrizione attentato. Due persone tentarono una rapina per autofinanziare il proprio gruppo terroristico e a tal fine aggredirono Alessandro Floris -fattorino portavalori dell’Istituto Autonomo Case Popolari – che aveva prelevato in banca una ingente somma di denaro per conto dell’Ente. L’uomo cercò di bloccare i rapinatori in fuga aggrappandosi alla caviglia di uno di essi, che lo uccise, però, con un colpo di pistola. Grazie alla foto scattata da un passante, gli autori del fatto e un loro complice furono arrestati e, in seguito, condannati. Emergerà trattarsi di esponenti di spicco del gruppo terroristico “XXII Ottobre” che si era costituito a Genova nel 1969 e che qui era stato attivo fino al 1971, quando – a causa delle indagini sulla rapina ai danni di Floris e della conseguente individuazione di gran parte dei suoi militanti o fiancheggiatori – aveva finito per dissolversi aderendo ai “Gruppi di Azione Partigiana” (GAP) e più tardi alle “Brigate Rosse”. Per evidenziare il rilievo che l’omicidio di Floris ebbe per le organizzazioni terroristiche di estrema sinistra e la importanza rivestita per esse dagli arresti effettuati, è sufficiente ricordare che nel 1978 e nel 1974 le “Brigate Rosse” chiesero il rilascio degli arrestati come “parte” del “prezzo” per la liberazione dell’on. Aldo Moro e del magistrato Mario Sossi. Quest’ultimo peraltro era stato rapito dalle BR il 18 aprile 1974, specie per aver sostenuto l’accusa nel processo contro il gruppo “XXII Ottobre”. Al procuratore generale presso la Corte di Appello di Genova, Dott. Francesco Coco, la opposizione al rilascio degli arrestati costò poi la vita: le “Brigate Rosse” lo uccisero l’8 giugno 1976.

Antonio Niedda

Biografia. Nato a Bonorva (SS) il 2 febbraio 1931. Entrò in Polizia nel 1955 e, dopo aver frequentato la Scuola di Vicenza, prestò servizio presso Reparti di Piacenza e Roma e, da ultimo, presso la Sezione Polizia Stradale di Padova. Gli furono conferiti un Attestato di Benemerenza (per aver partecipato alle operazioni di soccorso delle popolazioni del Vajont) e la Croce di Argento al Merito di Servizio. Insignito della medaglia d’oro al Merito Civile “alla memoria”, il 12 maggio 2004. 214

Descrizione attentato. L’appuntato Antonio Niedda era componente di una pattuglia di pronto intervento e vigilanza stradale quando, mentre effettuava un’operazione di controllo nei confronti di due individui sospetti, fu mortalmente raggiunto da colpi d’arma da fuoco esplosigli contro da un terrorista, poi arrestato dall’altro membro dell’equipaggio e che risultò essere un esponente di spicco delle “Brigate Rosse”.

Antioco Deiana

Biografia. Si arruolò nell’Arma nel 1955, conseguendo la promozione ad Appuntato nel 1972. Dopo aver svolto servizio in Piemonte, fu destinato nel 1964 al Nucleo di Polizia Giudiziaria di Genova. Insignito della medaglia d’oro al Valor Civile “alla memoria”, il 31 marzo 1977.

Descrizione attentato. Il dott. Francesco Coco, procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Genova, fu ucciso, nei pressi della sua abitazione. Gli attentatori gli esplosero alle spalle più colpi di pistola. Nell’occasione uccisero spietatamente anche l’agente addetto alla tutela Giovanni Saponara e l’appuntato Antioco Deiana che era rimasto all’interno dell’auto di scorta. L’omicidio del dott. Francesco Coco, presumibilmente già programmato per il 5 giugno -primo anniversario della morte di una terrorista appartenente al “nucleo storico” delle Brigate Rosse -, fu rivendicato dalle “Brigate Rosse” come una “rappresaglia esemplare” per il comportamento che il magistrato aveva tenuto dopo la liberazione del sostituto procuratore della Repubblica Mario Sossi. Quest’ultimo era stato sequestrato dalle “Brigate Rosse” -dal 18 aprile 1974 al 20 maggio 1974 -per aver inquisito appartenenti al gruppo di estrema sinistra “XXII ottobre”, cui era riferibile, tra l’altro, l’omicidio di Alessandro Floris. Per ottenere la liberazione del dott. Sossi, la Corte d’Assise d‘Appello di Genova – aderendo alle richieste dei brigatisti -aveva concesso la libertà provvisoria ad alcuni detenuti del gruppo, subordinandone però la effettiva scarcerazione al fatto che fosse assicurata la integrità fisica del sequestrato. Il dott. Sossi fu liberato, ma il dott. Coco non fece eseguire la ordinanza di scarcerazione. Ritenendo che non ricorressero le condizioni cui tale scarcerazione era stata subordinata, impugnò il provvedimento della Corte d’Assise d’Appello ottenendone l’annullamento in Cassazione.

Salvatore Porceddu

Biografia. Entra in polizia nel 1976 alla scuola di P.S. di Piacenza e poi è a Torino. E’ compagno di camera di Salvatore Lanza alla caserma Valdocco. Medaglia d’Oro alla memoria.

Descrizione attentato. Mentre erano impegnate in un servizio di vigilanza nei pressi del carcere di Torino, le guardie di Pubblica Sicurezza Salvatore Lanza e Salvatore Porceddu vennero mortalmente ferite da colpi d’arma da fuoco, a seguito di un attentato compiuto da terroristi delle “Brigate Rosse” nell’ambito della “campagna contro il trattamento carcerario dei prigionieri politici” decisa dopo la istituzione, nel luglio 1977, del circuito penitenziario di massima sicurezza. Per il duplice omicidio sono stati condannati esponenti del gruppo terroristico. E’ intitolato a lui ed al suo collega Salvatore Lanza il Centro Professionale di Strada delle Cacce. Una lapide è posta dal Comune sul luogo della tragedia.

Pietro Ollanu

Biografia. Entrò in Polizia nel 1971 e, dopo aver frequentato la Scuola Allievi di Vicenza, prestò servizio presso il Reparto Celere di Roma e la Questura di Roma. Insignito della medaglia d’argento al Valor Militare “alla memoria”, il 24 giugno 1980.

Descrizione attentato. Il 3 maggio 1979, pochi giorni dopo l’inizio della campagna elettorale, le “Brigate Rosse” eseguirono un sanguinoso attentato nel pieno centro di Roma. Quindici uomini, armati di bombe e mitra, entrarono nella sede del comitato romano della Democrazia Cristiana in Piazza Nicosia e, dopo aver immobilizzato decine di presenti, asportarono varia documentazione e danneggiarono gravemente i locali facendo esplodere ordigni. Un equipaggio di polizia giunto sul posto fu colpito con raffiche di mitra. Un componente dell’equipaggio, il brigadiere Antonio Mea fu ucciso; la guardia Pietro Ollanu riportò ferite che ne cagionarono la morte due giorni dopo. Il terzo componente dell’equipaggio fu ferito. L’azione rientrò fra quelle organizzate contro la DC, tra le quali va ricompreso anche l’omicidio dell’avv. Italo Schettini, del 29 marzo 1979. L’agente Vincenzo Annunziata rimane ferito.

Antonino Casu

Biografia. Fu arruolato nell’Arma nel 1948, conseguendo nel 1968 la promozione ad appuntato. Operò in numerosi Comandi territoriali delle Regioni Veneto, Friuli Venezia Giulia e Liguria; dal 1967 fu in forza alla Legione Carabinieri di Genova. Insignito della medaglia d’oro al Valor Civile “alla memoria”, l’8 maggio 1981.

Descrizione attentato. Nell’agguato teso da un gruppo di terroristi, vennero uccisi, con numerosi colpi d’arma da fuoco esplosi a distanza ravvicinata, il colonnello Emanuele Tuttobene e l’appuntato Antonino Casu, conducente dell’automezzo di servizio sul quale si trovava l’alto ufficiale. Nel volantino di rivendicazione dell’attentato si sosteneva che il colonnello Tuttobene era “il comandante della struttura di spionaggio dei carabinieri … che lavora in strettissimo rapporto con la NATO”. L’attentato fu rivendicato dalle “Brigate Rosse – colonna Francesco Berardi”, dal nome dell’impiegato dell’Italsider che si era suicidato in carcere tre mesi prima dell’agguato (il 24 ottobre 1979) dopo che era stato arrestato a seguito della denuncia sporta contro di lui da Guido Rossa, il sindacalista ucciso dalle “Brigate Rosse” il 24 gennaio 1979.

Angela e Maria Fresu

Descrizione attentato. Alle 10.25 di sabato 2 agosto 1980, un ordigno ad altissimo potenziale esplose nella sala di aspetto di seconda classe della stazione ferroviaria di Bologna. L’esplosione provocò il crollo della struttura sovrastante le sale di aspetto e di trenta metri della pensilina. Investì anche due vetture di un treno in sosta al primo binario. Le conseguenze della esplosione furono di terrificante gravità anche a ragione dell’affollamento della stazione in un giorno prefestivo di agosto. Rimasero uccise ottantacinque persone; oltre duecento furono ferite. Tra queste c’erano Maria, 24enne sarda, e la figlia Angela di 3 anni, la più giovane vittima della strage. Il bilancio giudiziario dell’attentato consta di 27 anni di processi, l’ultimo dei quali si è concluso nell’aprile 2007. Risulta tuttora aperto un ulteriore filone dell’indagine. Per la strage sono stati condannati in via definitiva tre appartenenti a un gruppo della destra eversiva che in quegli anni erano stati autori, coautori o complici di omicidi terroristici quali quelli del magistrato Mario Amato e degli agenti di polizia Arnesano ed Evangelista.

Francesco Straullu

Biografia. Nato a Nuoro il 10 luglio 1955. Nel 1974 entrò nell’Accademia del Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza. Nel 1978 fu assegnato al Raggruppamento di Roma. Nel 1979 venne promosso al grado di Capitano e assegnato nel 1980 alla Digos della Questura di Roma. Nel corso della carriera, gli furono conferiti due Encomi per la partecipazione a indagini conclusesi con la cattura di esponenti di organizzazioni eversive. Insignito della medaglia d’oro al Merito Civile “alla memoria”, il 31 marzo 2005.

Descrizione attentato. Mentre ad Acilia, località del comune di Roma, percorrevano a bordo dell’auto di servizio uno stretto e breve tunnel, il capitano di Pubblica Sicurezza e il suo autista, la guardia scelta Ciriaco Di Roma, vennero mortalmente raggiunti da numerosi colpi d’arma da fuoco esplosi da armi automatiche ad alta potenzialità offensiva. L’agguato fu realizzato dalla formazione terroristica di estrema destra “Nuclei Armati Rivoluzionari” (NAR) che temeva sempre di più l’intelligente impegno posto dal giovane capitano nel contrastare la loro organizzazione. Questo impegno aveva già condotto a numerosi e importanti arresti nell’area della eversione di destra e indotto alla collaborazione alcuni suoi esponenti. Il fatto fu rivendicato con un comunicato nel quale gli autori dell’agguato, dopo aver assunto di aver ucciso anche Luca Perucci e Marco Pizzari, sostenevano: “Non abbiamo né poteri da inseguire né masse da educare, per noi quello che conta è la nostra etica. Per essa i nemici si uccidono e i traditori si annientano. Il desiderio di vendetta ci nutre: non ci fermeremo”. I responsabili del duplice omicidio saranno individuati e condannati.

Benito Atzei

Biografia. Nato a Gonnostramatza (OR) il 1° marzo 1934. Si arruolò nell’Arma nel 1955 quale Carabiniere effettivo e fu promosso Vice Brigadiere nel 1981. Prestò servizio in varie Stazioni della Regione Piemonte e, dal 1976, presso la Stazione Carabinieri di Corio (TO). Insignito della medaglia d’argento al Valor Militare “alla memoria”, il 9 agosto 1983.

Descrizione attentato. Alle 18.30 dell’8 ottobre 1982, il brigadiere Benito Atzei e un carabiniere ausiliario istituirono un posto di blocco nelle vicinanze di Corio Canavese. Nel corso di un controllo a una autovettura in transito, i tre occupanti, scesi dal veicolo, impugnarono le pistole e spararono sui due appartenenti all’Arma. Atzei morì durante la corsa verso l’ospedale, mentre il giovane carabiniere, che aveva risposto al fuoco, riportò gravi ferite. Gli assalitori fuggirono su una vettura parcheggiata nei pressi. Il giorno dopo giunse una telefonata di rivendicazione al quotidiano “La Stampa”: “Qui Potere Rosso. Rivendichiamo noi l’annientamento e disarmo della squadretta dei Carabinieri di Corio”. Il successivo 10 ottobre i terroristi erano già stati individuati in quanto la vettura controllata apparteneva a uno di loro. I processi ne accerteranno le responsabilità. Lascia la moglie Nadia e suo figlio, Fabrizio, che ha intrapreso la carriera militare nell’arma dei Carabinieri.

[ARTICOLO A CURA DI MARIO MARCIS]

L’articolo 9 maggio, Giorno Memoria Vittime Terrorismo: tra queste anche tantissimi sardi. Ecco le loro storie proviene da ogliastra.vistanet.it.


Fonte: Ogliastra News Mario Marcis

Chi parla di biscotti sardi ha solitamente in mente dei dolci ben precisi: i savoiardi di Fonni, amici inseparabili del caffè che si offre agli ospiti in qualunque momento della giornata, perfetti nella loro morbida semplicità. I biscotti sardi sono per antonomasia i savoiardi nella loro versione isolana. Quelli morbidi, “di Fonni”. Normalmente in Sardegna si fa largo uso di ingredienti ricercati o costosi come foglia d’oro, frutta secca, sapa, miele o zafferano, per dolci spesso decorati con grandissima minuzia nei dettagli. I savoiardi invece sono un inno alla semplicità. Servono solo tre ingredienti per realizzarli! Quattro, se contiamo eventuali aromi e strategie moderne per facilitare la riuscita di questi dolcetti dall’aroma delicatissimo. Farina, zucchero e uova. I biscotti di Fonni non hanno bisogno d’altro e per questo c’è chi li chiama anche biscotti d’uovo – pistoccus de ou. A voler strafare si può aggiungere della scorza di limone. Un altro piccolo trucchetto: una spolverata di zucchero a velo prima della cottura per garantire una crosticina più evidente o una miglioria estetica, o la sostituzione di una piccola parte della farina con fecola di patate per un biscotto ancora più leggero.

(Tutti i nomi in italiano: Biscotti sardi, Biscotti di Fonni, Biscotti Fonnesi, Savoiardi di Fonni, Savoiardoni. Tutti i nomi in lingua sarda: Pistoccus, Pistokkus, Pistokkos, Pistoccus finis, Pistoccus de caffei, Biscottos de caffè, Bistoccus de ou).

Esistono in 2 varianti di forma, ma la ricetta è sempre la stessa:

•  Savoiardi o biscotti di Fonni, molto lunghi e snelli

•  Pistoccus de caffei, variante più larga e corta.

Storia dei biscotti sardi o di Fonni

La storia dei biscotti sardi è legata ai Savoia, che esportarono la ricetta base dei savoiardi in tutti i propri territori. Non si sa perché siano chiamati anche biscotti di Fonni o biscotti fonnesi. Probabilmente in questo paese di montagna nel cuore della Sardegna fu inventata la variante più di successo di questi dolcetti, destinata a diffondersi in tutta l’isola. I savoiardi classici, quelli piemontesi, furono ideati dal cuoco di Amedeo IV di Savoia per un importante banchetto con i reali di Francia. Ebbero un grande successo, tanto da diventare i biscotti dei Savoia o biscotti savoiardi. Si preparavano con “poca farina, albume d’uovi e zucchero”. Insieme ai Savoia i biscottini arrivarono in Francia, Sicilia e Sardegna. E nell’Isola persero una parte delle uova e guadagnarono i tuorli, diventando più densi e nutrienti dei loro cugini piemontesi.

I biscotti di Fonni vanno a braccetto col caffè, non per niente sono anche conosciuti come Pistoccus de caffei e Biscottos de caffè. Insieme sono protagonisti di tanti momenti di convivialità nelle case della Sardegna, dov’è usanza accogliere chiunque bussi alla porta con caffè e savoiardi morbidi. Ma caffè e biscotti sardi sono anche per chi passa a fare gli auguri dopo battesimi, matrimoni, cresime, comunioni o lauree, insieme a vassoi pieni di altri dolcetti sardi. E, cosa più curiosa, non mancano neanche per funerali, dopo i quali si fa visita ai familiari dei defunti e si viene accolti con enormi caffettiere e vassoi di savoiardi morbidi. In cucina sono un ingrediente importante di dolci più complessi. In Sardegna spesso e volentieri sostituiscono i più famosi savoiardi piemontesi nei tiramisù – ovvio – ma anche nelle zuppe inglesi e in vari dolci al cucchiaio che richiedono una base di biscotto soffice, spugnosa e di sapore neutro. Non a caso anche Iginio Massari, uno dei più grandi pasticceri d’Italia, prepara per il suo personalissimo tiramisù dei biscotti simili a quelli di Fonni, in barba alla consistenza croccante e rigida dei savoiardi classici usati in questo dolce.

Ricetta facile dei biscotti sardi o savoiardi soffici

Non farti ingannare dall’apparente semplicità di questa ricetta perché spesso le ricette minimali sono le più insidiose! I pochi ingredienti dei savoiardi sardi devono infatti essere combinati a dovere per ottenere dei biscotti di Fonni perfetti. Farina, zucchero e uova costituiscono la formula magica che non è possibile alterare di troppo se si vuole ottenere un risultato il più vicino possibile ai tradizionali biscotti sardi morbidi. Il numero di biscotti che otterrai dipende da quanto vorrai farli lunghi e larghi, ma in ogni caso basteranno per qualche buona colazione o dopo pranzo per tre o quattro persone. Golosità permettendo, perché di solito si volatilizzano a velocità impressionante.

Ingredienti:

Uova medie freschissime: 10
Farina di grano tenero setacciata: 330 grammi
Zucchero: 300 grammi
Opzionali:
Zucchero a velo
Qualche goccia di succo di limone
Scorza di mezzo limone grattugiata finemente

Procedimento:

Proprio come nella preparazione assai più nota del pan di Spagna, bisogna cominciare dal separare albumi e tuorli d’uovo. Iniziare dunque a lavorare i tuorli con metà dello zucchero, aiutandosi eventualmente con una frusta elettrica. Il risultato dovrà essere spumoso, carico di minuscole bollicine e di un color arancio o giallo paglierino, segno che è stata incorporata aria e dissolto bene lo zucchero. Unire dunque la scorza di limone grattugiata fine e mettere da parte.

Montare quindi a neve fermissima gli albumi con la restante metà dello zucchero e solo qualche goccia di succo di limone. L’aiuto di una frusta elettrica è importante, a meno che non si possiedano la forza e resistenza delle matrone di un tempo, o meglio in questo caso di una mastra “durchera”, la maestra dolciaia sarda per antonomasia. Per questa fase potrebbe essere necessario un lavoro anche di venti minuti e più, ed è fondamentale che il risultato sia una spuma ferma e ben montata. A questo punto munirsi di spatola e iniziare ad incorporare a piccole porzioni la farina setacciata e qualche cucchiaio di albumi montati, al preparato dei tuorli. In questo passaggio è di vitale importanza non mescolare con forza ma incorporare con delicatezza i vari composti mescolando e ripiegando l’impasto dal basso verso l’alto. Pena lo smontare il tutto.

Una volta incorporati tutti gli ingredienti, disporre l’impasto in strisce della lunghezza, altezza e larghezza preferita, su una teglia coperta di carta da forno. Solitamente si realizzano di circa 10 o 15 cm di lunghezza. Per facilitarsi il compito si può usare una sacca da pasticcere: ricordare di lasciare un po’ di spazio fra un biscotto e l’altro per aiutare la cottura, facendo passare bene il calore.

Spolverare di zucchero a velo e cuocere a 160° in forno statico preriscaldato finché non risultano gonfi e leggermente dorati.

Qualche errore da evitare in assoluto?

•  Grattugiare il bianco del limone: la scorza è solo quella gialla, la parte bianca conferisce un retrogusto amaro alle preparazioni.
•  Usare uova fredde di frigo: le uova non sono come la panna, che più è fredda più monta, per montare bene le chiare meglio usare quelle a temperatura ambiente.
•  Mettere sale negli albumi: altro errore, che si pensa aiuti a montare e invece contribuisce solo a rilasciare liquido in fase di cottura.

Fonte Bottega.it

 

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Fonte: Ogliastra News Mario Marcis

Quando è comparso per la prima volta l’uomo in Sardegna? Una domanda non semplice a cui rispondere, ma di certo molto affascinante.

Il dato più certo riguarda il primo homo sapiens che abbia vissuto nell’Isola. I resti più antichi sono stati rinvenuti nella Grotta Corbeddu, nel territorio di Oliena. Il fossile ritrovato nel 1993 dai ricercatori era una falange, risultata appartenere – senza alcun dubbio – a un homo sapiens di 22 mila anni fa.

Una scoperta sensazionale, che diede un termine post quem la storia dei nostri progenitori ebbe inizio nell’Isola.

Ma ben più affascinante, anche se ben più dibattuta, fu la scoperta avvenuta nel 2001 in una impervia grotta di origine vulcanica di Cheremule, in provincia di Sassari.

Nella grotta denominata poi Nurighe, fu trovato un ossicino di qualche centimetro risalente a un periodo databile tra i 750 mila e i 250 mila anni fa. Gli studi effettuati successivamente sono arrivati a ipotizzare con buone dosi di probabilità che si tratti sempre di una falange appartenente a un ominide.

Chiaramente siamo in un periodo ben antecedente la comparsa nel mondo dell’homo sapiens. Il “proprietario” di quell’ossicino, che poi è stato ribattezzato “Nur” e che è oggi considerato l’essere umano sardo più antico di cui si abbiano notizie, sarebbe stato un predecessore dell’uomo di Neanderthal. Della specie che dominò il continente europeo per 350 mila anni possedeva alcuni tratti, così come possedeva molte caratteristiche dell’homo erectus.

Gli studiosi sono portati a credere che si sia trattato di un ominide sviluppatosi in modo “autonomo” nella scala evolutiva umana, così come avvenuto in molte parti del mondo e secondo quelli che sono gli orientamenti scientifici degli ultimi anni. Per questo è stato coniato il termine di “Uomo di Cheremule”, un uomo pre-neanderthaliano che avrebbe avuto un ruolo da protagonista in Sardegna nel Paleolitico inferiore. La sua corporatura sarebbe stata leggermente diversa dalle specie umane più coeve. Il suo fisico sarebbe stato più gracile e più alto dei Neanderthal.

La teoria, come abbiamo detto, è ancora dibattuta. Secondo alcuni studi più recenti l’ossicino non sarebbe una falange umana, ma il “dito” della zampa di un uccello rapace vissuto in quell’era storica.

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Fonte: Ogliastra News Mario Marcis

Uno scherzo di cattivo gusto finito male: questo quanto raccontato in un canto popolare da Maria Pintore di Dorgali nel 1971, quando la donna aveva circa quarantacinque anni.

Registrata dall’Università di Cagliari, nell’ambito della rilevazione dei racconti tradizionali dell’Isola, la donna narra un fatto che sarebbe avvenuto a Urzulei in un tempo non precisato.

Il breve racconto parla di un ipotetico becchino, oggetto di beffe e di scherzi da parte dei compaesani in quanto da tutti considerato stolto (o pazzo in quanto in “Limba” la parola “macu” può avere entrambi i significati). L’ultima delle prese in giro fatta all’uomo fu, pare, quella di mettere un uomo vivo dentro una bara e portarla al cimitero.

Il becchino poco dopo iniziò a sentire dei rumori provenire da questa. La aprì e trovò, appunto, un uomo vivo. Imbracciato un piccone iniziò a sferrare dei colpi sul malcapitato uccidendolo. Recatosi dal Sindaco disse: «Portatemi i morti quando sono morti, perché oggi me ne avete portato uno vivo ed è toccato a me ucciderlo».

Da allora nessuno si è più preso gioco del becchino di Urzulei, anzi: «Questo, altro che stolto,» dicevano «ha ucciso una persona davvero».

Un racconto macabro che mette in guardia sul fatto di schernire una persona sottovalutando le sue possibili reazioni. Un fatto che colpì profondamente i paesi dell’intera zona, tanto da essere tramandato in questo canto orale.

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Fonte: Ogliastra News Mario Marcis

Violento nubifragio e copiosa grandinata questa mattina a Mandas.

Il paese della Trexenta è stato ricoperto da una coltre bianca e non sono pochi i danni subiti.

Il sindaco Umberto Oppus che ha pubblicato le foto su Facebook ha detto: “Con la Giunta stiamo seguendo la situazione del nubifragio in corso e della violenta grandinata che sta interessando Mandas e le sue campagne. Ho convocato la Giunta per domani alle 15.30 per deliberare lo stato di calamità naturale e fare la conta dei danni alle colture agricole”.

La Giunta è poi stata anticipata a oggi ed è terminata intorno alle 17.40. “Abbiamo appena terminato la Giunta Comunale che ha deliberato lo stato di calamità naturale sul territorio comunale – spiega Oppus -. Domani mattina sarà mia cura trasmettere la delibera a tutti gli enti competenti, partendo dalla Regione, per chiedere un immediato supporto in questa situazione particolarmente difficile. chiedo a tutti i cittadini di segnalare domani in Comune i danni a colture, cose e stabili”.

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Fonte: Ogliastra News Mario Marcis