Buone notizie sul tema della continuità territoriale aerea della Sardegna.

La compagnia Ita Airways potrà mettere immediatamente in vendita, i biglietti per le rotte in continuità territoriale Cagliari-Roma Fiumicino e Cagliari-Milano Linate e ritorno.

A comunicarlo l’assessore regionale dei Trasporti, Antonio Moro, che ha commentato: “È un passaggio fondamentale, con un mese di anticipo rispetto alla scadenza del 16 febbraio prossimo consentirà a tutti in tempi brevissimi di poter prenotare i biglietti per i voli in continuità da e per lo scalo cagliaritano, in attesa che le rotte vengano aggiudicate definitivamente”.

“Come previsto dalla normativa europea di settore – continua l’assessore – ai passeggeri sarà garantita la riprotezione qualora l’assegnazione finale delle rotte dovesse mutare”.

“A breve procederemo ad autorizzare la vendita dei biglietti anche per i voli da e per l’aeroporto di Olbia”, ha inoltre annunciato l’esponente della Giunta Solinas.

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Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda

di Massimiliano Perlato

È un delicato e meraviglioso emblema del firmamento cinematografico italiano. L’orgoglio di tutta una regione, che ha  dovuto lasciare affinché potesse scorgere la sua grandezza in una romantica Parigi, cuore del cinema d’Europa che conta, distante dai riflettori nostrani.

Una scelta intelligente, specifica e coraggiosa quella di Caterina Murino, nata a Cagliari il 15 settembre 1977, di sicuro talento dietro a una cinepresa o sopra un palco.

Accantonati i desideri professionali di fare il medico, Caterina, per merito della sua tipica bellezza mediterranea, s’è imposta un proseguimento nel percorso esistenziale da modella. “La medicina era veramente il mio sogno, ma sfortunatamente non ho superato i test per la Facoltà. E poi la vita ha scelto per me. Mai avrei pensato di fare questo mestiere”.

Così dopo gli studi si è consacrata alle passerelle, partecipando anche al concorso di Miss Italia nel 1997 dove si è classificata quinta.

Nel 1999 fece la sua prima comparsa in televisione come “letterina” alla trasmissione “Passaparola” condotta da Gerry Scotti. In contemporanea iniziò a studiare recitazione nel laboratorio della Scuola di Cinema e Teatro di Francesca De Sapio a Roma.

E dal 2002 decollano le prime produzioni televisive e cinematografiche. Sulle reti Sky conduce programmi di cinema e moda e non si lascia scappare l’occasione di essere la testimonial di diverse case produttrici di cosmetici, pur essendo in attesa della grande opportunità che la porrà effettivamente in luce.

Il maestro Dino Risi la inserisce nella fiction tv Le ragazze di Miss Italia (2000), a cui seguirà nello stesso anno Part time di Angelo Longoni. Sperimenta, con molta risolutezza e audacia, nel far fiorire la sua passione, la recitazione, e alterna alla fiction (Il giovane Casanova, 2001; Don Matteo, 2001; Orgoglio, 2003) il teatro. Porta in scena Dieci Piccoli Indiani di Agatha Christie per la regia di Danilo Grezzi, che la scrittura anche per il suo Riccardo III (2003).

Il suo debutto sul grande schermo è quasi letterario, con il primo film dello scrittore cileno Luis Sepulveda Nowhere (2001), che in Italia passa quasi inosservato, ma non similmente in Francia, dove la pellicola riscuote un discreto successo di critica e pubblico e che proietta Murino nel cinema internazionale. Visti i presupposti, l’attrice trasloca a Parigi per azzardare il salto di qualità.

Oltralpe sanno apprezzarla in L’enquête corse (2002), in cui concede un’eccellente e magistrale interpretazione. Arriva il momento d’oro, quello tanto atteso, con la possibilità di ostentare il suo talento a tutto il mondo e, dopo averlo confermato rapidamente con Les Bronzés 3 – Amis pour la vie (2005), eccola al fianco di Daniel Craig in versione Bond Girl nel ruolo di Solange in Casino Royale (2006). Ed è questo il film che la consegna alla caratura planetaria. Ottenne quel ruolo primeggiando rispetto ad una concorrenza agguerrita.

Forte del riscontro acquisito, nello stesso anno appare in alcune commedie inglesi e italiane, come in Non pensarci di Gianni Zanasi.  Nel 2008, bella e affascinante, ha interpretato il suo primo film in Italia da protagonista Il seme della discordia. Accanto a lei Alessandro Gassman, Valeria Fabrizi e Isabella Ferrari in una commedia tratta da un romanzo di Heinrich von Kleist.  Ancora in Gran Bretagna, nel 2009, è nel cast di The Garden of Eden, tratto da un romanzo di Ernest Hemingway, un film di successo che racconta il rapporto ambiguo e complesso tra un giovane scrittore, la sua affascinante moglie ribelle e trasgressiva e l’altra donna, attratta da entrambi.

Impegnata su numerosi set tra il Canada e la Francia, è stata poi nel cast di diversi film in giro per il mondo al fianco di attori di sicuro spessore.

Ha lavorato anche in Sardegna al fianco di registi isolani come Cesare Furesi per Chi salverà le rose? e Igor Biddau per Bianco di Babbudoiu, nei film d’inchiesta come Ustica di Renzo Martinelli e Se son rose di Leonardo Pieraccioni.

Parla quattro lingue correntemente, e, da quando ha lasciato la Sardegna,  si divide tra la Francia, l’Italia e naturalmente la terra natia.  Va molto fiera di un passaggio che nessuno menziona, ovvero la copertina della rivista “Life” nel 2006. “Solo due italiane prima di me l’hanno avuta: Sofia Loren e Claudia Cardinale, scusate se è poco.”

Caterina Murino oggi può tracciare un bilancio straordinariamente positivo di una carriera costellata da una lunga serie di successi, non ultima la nascita della linea di gioielli con il suo nome. “La mia collezione ‘Mirto’ – spiega –, è lavorata con la filigrana sarda mentre la collezione ‘Fili di Vento’ è a favore di ‘Stand up for African Mothers’. Gioielli preziosi fatti a mano che raccontano le nostre leggende, la nostra storia. Collaboro con tre orafi sardi di Barisardo, Dorgali e Alghero. Le linee sono totalmente ispirate alla nostra isola. Il corallo è una delle materie prime che le caratterizza, come anche l’oro. Ho avuto invece modo, con grande stupore e dispiacere, di appurare che pochissimi nel mondo conoscono la nostra filigrana sarda.”

Caterina spiega dove è nata questa passione. “Mi sono iscritta a una scuola di Gemmologia a Parigi. Mi ha sempre affascinato il motivo per il quale gli uomini sono arrivati fino a uccidersi per rubare pietre dal potere enorme. Poi l’ho capito: ogni pietra ha un’energia dalle vibrazioni infinite, passa attraverso molte mani, viene estratta, lavorata, commercializzata. La mia pietra preziosa preferita è sicuramente lo zaffiro stellato: è stato amore a prima vista dopo averlo scoperto in miniera, nello Sri Lanka.”

Portabandiera di una femminilità tutta mediterranea, lasciando l’amata Cagliari ha portato con sé la tenacia delle donne sarde. Una caratteristica che non l’ha mai abbandonata. “La sardità è un tesoro che non svanisce, anche se hai dovuto fare le valigie per trovare uno sbocco professionale.”

Caterina è l’immagine per antonomasia che tranquillizza e mette in vetrina la dolcezza e l’orgoglio di essere isolani.  Riesce, attraverso la sua fierezza di provenienza, a mantenere in tutti i contesti la sua sardità e, al contempo, offrire al mondo l’immagine di una Sardegna viva e contemporanea e fortemente legata alle sue tradizioni.

È stata ‘Mamuthone ad honorem’ nel 2016 e ‘Candeliere d’Oro Speciale’ a Sassari nel 2017. Tanti onori nell’isola che la rendono consapevole della necessità di far conoscere all’estero i valori della Sardegna. “Non mi sento responsabile ma rappresentante. Questi riconoscimenti hanno irrobustito ulteriormente il sentimento d’amore per la mia terra. Sono premi che richiamano le mie radici profonde e sono sinonimi di un’identità indelebile. È una cosa di cui vado molto orgogliosa.”

Caterina non dice mai di no se si tratta di prestare il suo volto per diverse campagne pubblicitarie per l’ambiente, le tradizioni e il territorio della Sardegna.

A chi le domanda se tornerebbe a vivere in Italia, lei risponde di no. “Parigi è casa mia, anche se i miei genitori vivono ancora in Sardegna e vado spesso a trovarli. E non c’è giorno che non ci sentiamo. In Italia torno spesso anche per fare teatro. Ma a riguardo ho lavorato un po’ in tutto il mondo: Stati Uniti, Inghilterra, Argentina, Bahamas, Cina, India”.

Caterina Murino è donna che rimane per indole umile e comunicativa. E su queste peculiarità edifica un‘immagine limpida e naturale. Si conserva schietta e senza voli pindarici, contrariamente a quanto spesso avviene in certi ambienti dello spettacolo. Energica e simpatica, allegra e sensibile, mai fuori dalle righe. “Il cinema spesso è composto da donne bellissime che sgomitano per raggiungere l’obiettivo, arrivando da ogni angolo del mondo. Ma sono tutte talmente prese da sé stesse che scordano di nutrire l’anima. Sono come piante. Certamente a rendere diva una donna è altro: la sicurezza interiore, la cultura, il modo di fare. Essere una pianta non è gratificante.”

Caterina è anche sinonimo di impegno sociale e solidarietà. È testimonial per Amref Health Africa, essendo particolarmente attenta ai problemi dell’Africa. Una cara zia è stata a lungo insegnante in Somalia. “L’Africa è una terra martoriata da tanti mali. Amref si è attivata da subito con progetti specifici, per esempio in Kenya. Lavoro con loro a distanza ma dal 2006 ho fatto sette viaggi in Africa, tra Kenya, Somalia e Senegal. Sono andata a vedere il lavoro che fanno lì, cercando di capire che cosa manca, nelle scuole, nella sanità, dove concretizzano dispensari e formano medici locali. In questi anni ho visto un Africa mutare, i giovani possono avere fiducia e un futuro.”

Un passo questo che l’ha portata a toccare con mano la vita difficilissima nei bassifondi africani e a decidere d’impegnarsi con tutta se stessa per promuovere alcune raccolte fondi a sostegno dei progetti per la salute e l’educazione, dedicando molte energie per  il programma “Stand up for Africans Mothers” che cura la formazione di ostetriche e medici, attuando trasversalmente, forse, quel suo sogno giovanile chiuso in un cassetto, di diventare pediatra.

Infine, è una cattolica praticante. “La fede per me è fondamentale. Considero Dio il mio migliore amico che è sempre lì per me, ma ci sono cose che mi fanno pensare, momenti in cui sono mi chiedo il perché di tante cose, e capita che mi arrabbi con lui. Io con Dio ci parlo in continuazione, la fede è un dono ed è personale, ma è anche farsi delle domande.”

 

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Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda

Le origini di questa razza canina autoctona dell’Isola sono antichissime, quanto il suo utilizzo da parte dell’uomo come cane da guardia e per la caccia.

Su “Cani Pertiatzu” è sempre stato considerato un cacciatore e guardiano eccellente, grazie alle sue numerose qualità.  Un cane intelligente, coraggioso, affidabile, dal buon temperamento ma estremamente reattivo.

Ma qual’è il significato del temine sardo “pertiatzu”? Oggi è riferito all’indole indomita di questa tipologia di cane nell’eseguire i comandi del padrone. Tale nome deriva dalla parola “pertias” (strisce), infatti la maggior parte degli esemplari di questa razza hanno il mantello tigrato. In particolare strisce di colore chiaro e scuro, a parte la testa solitamente nera.

In “Limba” è conosciuto anche con il nome di  “Trighinu o Trinu” e “Jàgaru“. Anche il primo termine si rifà a al tipico colore del mantello del cane, mentre la parola “Jàgaru” ha un significato diverso. Infatti questo nome sinonimo di “Jàcaru” e “Zacaru” deriverebbe da”jagarai”, “jacarare”, “zacarare” o “aggiagarai” (aizzare, assalire, mettere in fuga o attaccare).

E proprio con uno di questi termini, troviamo indicato nella “Carta de Logu“, un grosso cane mastino medievale sardo.

L’antico codice civile, penale e rurale del Giudicato d’Arborea prevede precetti e tutele del “Jacaru“. Innanzitutto ne dispone adeguata custodia e vigilanza, pena l’uccisione dell’animale e la sanzione per il proprietario. Nel caso di furto, il colpevole condannato avrebbe dovuto versare una notevole somma di denaro al legittimo padrone.

Questo sottolinea l’importanza di questa razza canina all’epoca, che continuò ad avere sotto la dominazione spagnola con molti di questi esemplari portati in Spagna e nel Regno di Napoli.

Il “cane sardo tigrato” originario, ma anche quello del XIV secolo, doveva essere di taglia molto grande e le sue doti erano preziose per l’economia rurale. Quello arrivato fino a noi oggi chiamato anche Dogo Sardesco, è un animale più slanciato ma comunque possente.

E’ un molossoide, brachicefalo con muso corto con orecchie piccole e triangolari. Dotato di una possente dentatura con chiusura a tenaglia o a forbice. Questa caratteristica e la proverbiale forza, lo rendono ancora oggi un cane perfetto per guardia e conduttore del bestiame bovino.

Ha una muscolatura molto sviluppata, con le zampe posteriori più slanciate rispetto alle anteriori. L’altezza varia al garrese tra i cinquanta e i sessantacinque centimetri, la groppa solitamente risulta più bassa. Il peso dell’animale si aggira tra i trenta e i quarantacinque chilogrammi.

Il classico mantello varia dal colore nero al grigio, e le striature hanno la tonalità bianche e color miele.  Il pelo duro e ispido è solitamente corto o di media lunghezza.

E’ stato utilizzato nella Guerra Italo-Turca del 1911, dove molti esemplari di “Cani Pertiatzu” sono riconoscibili nella foto prima della partenza per la Libia dal porto di Cagliari.

Ma molti dimenticano un altro fatto avvenuto nel gennaio del 1793, dove questa razza canina fu protagonista nel litorale quartese. Le truppe francesi che tentarono di invadere l’Isola, non furono respinte solo dalle milizie sarde. A dare manforte accorsero i contadini e pastori transumanti. Questi in quel periodo portavano a svernare le proprie greggi nelle pianure e aizzarono nella notte i fedeli cani, tra i quali i “Pertiatzus”, contro i francesi. Gli invasori aggrediti e dilaniati tra le dune del litorale fuggirono in mare disordinatamente.

Su “Cani Pertiatzu” ha rischiato l’estinzione, ma è sopravvissuto nelle zone più interne dell’Ogliastra, Barbagia, Baronia e del Sulcis. Oggi, il suo numero è in aumento grazie ai molti estimatori, e nonostante non sia una razza riconosciuta dalla FCI è molto apprezzata in Italia e all’estero.

Ringraziamo per le foto, Bernardo Deidda di Seui.

 

 

 

 

 

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Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda

Antico ulivo millenario di Luras in Sardegna dell'età di 4000 anni

È il nonno di tutti gli alberi d’Italia.

Si trova a Luras in provincia di Olbia Tempio e da non molto ha spento le 4000 candeline, anche se a questa veneranda età, potrebbe avere perso anche il conto.

Sotto l’ombra dei suoi rami si sono riposati, nell’ordine, gli antichi nuragici, romani, aragonesi e sabaudi. L’albero, Monumento naturale dal 1991, è alto 14 metri, ha una circonferenza del tronco di undici metri e mezzo e una circonferenza della chioma di 21 metri.

Scriveva qualche anno fa il National Geographic, in un articolo: «Scolpito da nodi, piccole e grandi cavità, il Patriarca ha davvero l’aspetto di un saggio anziano. Segnato dagli anni, ma con le radici ancora ben piantate in una terra in cui di alberi antichi ne sopravvivono ancora molti. Nella località di Santo Baltolu di Carana, sulle sponde del lago Liscia, altri millenari fanno compagnia a S’Ozzastru. A pochi metri di distanza, ad esempio, c’è un altro olivo di circa 2000 anni. Antichissimo per noi, un giovanotto per il Patriarca».

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Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda

Durante la puntata di ieri della trasmissione Mediaset “Le Iene”, nel servizio curato dall’inviata Roberta Rei è stata raccontata la storia di Sabrina, una ragazza sarda che all’inizio del mese scorso ha partorito un bimbo in un ospedale di Milano, ma non l’ha riconosciuto.

La 23enne originaria di un paese del Cagliaritano, insieme al fidanzato Michael, 30enne anche lui sardo, vivono in una tenda strada, nei pressi della stazione di San Donato.

Hanno raccontato di essere andati via dall’Isola qualche anno fa per trasferirsi in Germania, dove il ragazzo aveva lavorato in precedenza, per trovare un’occupazione e iniziare una vita insieme. Purtroppo a causa di varie vicende e la pandemia si sono ritrovati senza un lavoro e a dormire in un dormitorio. In seguito per alcuni episodi sono stati espulsi dalla Germania e sono partiti per Amsterdam.

Nella città olandese, li sono stati rubati entrambi i documenti e i telefono. Poi la decisione di rientrare in Italia, arrivando a Milano. Qui inizia per loro la vita da clochard  e dopo qualche tempo Sabrina scopre di essere incinta: “Mi sono accorta di della gravidanza solo quando l’ho sentito muoversi nella pancia. Sarei stata un’incosciente e egoista a tenere un neonato in questa situazione”.

Frame tratto dal video della trasmissione “Le Iene”

Ecco il motivo perché non ha riconosciuto il suo bimbo, lasciandolo in ospedale, dove era stata portata dopo il parto. E ai microfoni delle Iene ha deciso, con il compagno, di raccontare la sua storia.

La ragazza davanti ai microfoni si emoziona, quando la giornalista le chiede del bambino, affermando: “Non mi sono accorta di nulla perché il ciclo non mi viene da anni. Altrimenti avrei fatto ricorso all’aborto”.

La loro storia diventa di dominio pubblico attraverso un articolo della cronaca locale, poi diffuso da quella nazionale.

L’inviata delle Iene però è riuscita a fare avere ai ragazzi nuovi documenti, dopo averli fatti ripulire e fatto avere nuovi vestiti, accompagnandoli in un ufficio dell’anagrafe del capoluogo lombardo. Ma non si è fermata solo a questo, per Michael ha trovato un lavoro da aiuto pizzaiolo, da confermare a breve dopo una incontro prova con il titolare di un’attività di ristorazione.

Per loro, si apre una nuova possibilità per scrivere un nuovo destino.

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Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda

Laureato in Scienze della Terra e in Scienze e Tecnologie Geologiche con tesi in paleontologia, svolge al momento le sue attività presso il Dipartimento di Scienze Chimiche e Geologiche dell’Università di Cagliari, dove ha conseguito anche il dottorato di ricerca in Scienze e Tecnologie della Terra e dell’Ambiente: Daniel Zoboli, 39 anni e un curriculum di tutto rispetto, è anche il creatore della pagina Facebook “Animali e piante fossili della Sardegna”.

Mission? Be’, rendere tutti partecipi del suo mondo e, soprattutto, fare informazione corretta, catapultando i lettori in quello che è un viaggio nel tempo fino alle epoche più remote e ricche di segreti.

«Per quel che riguarda la ricerca da diversi anni mi occupo di paleontologia, in particolare di vertebrati fossili e di valorizzazione del patrimonio geo-paleontologico della Sardegna» spiega lo studioso. «Esistono tanti siti di interesse geo-paleontologico nell’Isola che meriterebbero una maggiore attenzione da parte delle amministrazioni locali. In alcuni casi questi siti potrebbero essere facilmente integrati nei circuiti turistici, è dunque fondamentale far conoscere queste potenzialità a chi di dovere. Ad esempio l’anno scorso io e il professor Gian Luigi Pillola abbiamo pubblicato un’idea progetto per la tutela e la valorizzazione di un importante sito nell’area di Gonnesa ma purtroppo ad oggi non si è ancora concretizzato.»

La passione per geologia e paleontologia nasce quando è bambino, tra i banchi della scuola elementare. Alla domanda su cosa volesse fare da grande, aveva una risposta chiara.

«È una cosa che accomuna molti paleontologi. La paleontologia è una disciplina affascinante e viene insegnata nei corsi di laurea in geologia e scienze naturali, è una materia che abbraccia il mondo biologico e quello geologico. Il lavoro del paleontologo richiede sicuramente buone capacità nel cogliere i dettagli, anche più minuti, di ciò che si sta osservando. Il paleontologo deve inoltre saper “leggere il territorio” e dunque saper acquisire dati anche sul contesto in cui vengono ritrovati i fossili» chiarisce. «Questo comporta avere adeguate conoscenze di geologia e un buon paleontologo non può sicuramente farne a meno.»

Nel tempo libero, appunto, si occupa di divulgazione scientifica fatta con criterio: «Nel web può capitare di imbattersi in articoli divulgativi scritti con leggerezza, con contenuti non aggiornati o addirittura erronei che possono creare disinformazione. L’utilizzo di fonti aggiornate deve essere alla base di una buona divulgazione altrimenti si rischia di fallire l’obbiettivo. Spesso la letteratura scientifica può risultare ostica per il “pubblico generalista”, ma questa è tecnicamente la fonte principale a cui tutti dobbiamo fare riferimento. Ho dunque deciso di mettere a disposizione le mie conoscenze cercando di rendere appetibili temi che molto spesso non ricevono la giusta attenzione.»

Torniamo quindi alla sua pagina social, creata tre anni fa. Nonostante il tema di nicchia, Zoboli ha un discreto numero di seguaci che accolgono ogni nuovo aggiornamento con stupore e curiosità.

«La cosa che più mi fa piacere è il crescente interesse delle persone che molto spesso non sono a conoscenza delle meraviglie dell’Isola che vanno ben oltre l’archeologia, i paesaggi o il mare. Il nome della pagina vuole essere un omaggio al titolo di un libro scritto diversi decenni fa dalla paleontologa sarda Ida Comaschi Caria. Nonostante sia un libro della “sua epoca”, dunque non aggiornato per quel che riguarda il contenuto scientifico, questo ha rivestito una fondamentale importanza nella mia formazione.»

L’età media di chi segue la pagina è sulla quarantina, con leggera prevalenza maschile – spiega l’esperto. Sardi perlopiù, ma anche francesi, inglesi, tedeschi, spagnoli e statunitensi.

«I bambini sono sicuramente una categoria di persone che viene facilmente affascinata dalla preistoria e dai dinosauri. Questo è testimoniato dai prodotti indirizzati ai più giovani, dai parchi a tema come Dinosardo o dalle attività di divulgazione che alcuni musei geo-paleontologici portano avanti con grande successo. È questo ad esempio il caso del “Jurassic Camp” nel Museo dei Paleoambienti Sulcitani – E.A. Martel di Carbonia, un’attività di scavo paleontologico simulato dedicata ai bambini che avevo preparato alcuni anni fa.»

Scrigno di tesori: ecco la definizione che Zoboli dà riguardo all’Isola. Nell’ultimo decennio, come racconta, sono state tantissime le scoperte interessanti.

«Tra le più sorprendenti vi è sicuramente la scoperta nell’area di Alghero di un grosso vertebrato risalente al periodo Permiano. Altre sono la scoperta delle impronte impresse dal mammuth nano sardo individuate nell’area di Gonnesa o ancora il frammento del carapace del millepiedi gigante del Carbonifero di Iglesias. Purtroppo, nonostante il ricco patrimonio paleontologico dell’Isola, al momento non sono ancora stati ritrovati fossili di dinosauri. Secondo me è solo questione di tempo, prima o poi verrà trovato qualcosa!» dice con entusiasmo. «Gli unici fossili di grandi rettili mesozoici di cui si ha notizia nella letteratura scientifica sono alcuni denti di ittiosauro raccolti da un geologo tedesco presso Jerzu negli anni ‘30. Sfortunatamente questi fossili sono andati distrutti durante un bombardamento alleato che ha colpito il museo della città tedesca nel quale erano conservati. Mettendo da parte i “dino-latitanti”, l’Isola ha comunque ospitato molte specie fossili (in molti casi endemiche) dall’indubbio fascino. Abbiamo avuto due specie di primati, parenti delle moderne giraffe, mammuth nani, tante specie di squali, coccodrilli, antichi perissodattili simili a tapiri, marsupiali, iene, cani selvatici, lontre e testuggini giganti.»

In Sardegna, sono presenti inoltre rocce appartenenti a tutti i periodi geologici del Fanerozoico: «Ad esempio abbiamo i resti degli organismi più antichi d’Italia, risalenti al Cambriano inferiore, dunque vecchi di oltre mezzo miliardo di anni. Questo si traduce in una grande varietà di reperti fossili appartenenti a epoche anche molto distanti tra loro. Ogni area della Sardegna ha comunque le sue peculiarità anche in campo paleontologico. Sicuramente il Sud-Ovest dell’Isola è uno dei territori con una più ampia varietà di rocce (in termini di età) e dunque di fossili. Altre aree sono invece relativamente povere di fossili, come ad esempio il Nord-Est dell’Isola nel quale affiorano principalmente i graniti, rocce ignee prive di contenuto paleontologico.»

Molti i musei geo-paleontologi importanti, alcuni nati per conservare e divulgare le ricchezze del territorio. «Tra questi, il più importante, anche dal punto storico, è però senza dubbio il Museo Sardo di Geologia e Paleontologia “Domenico Lovisato” dell’Università di Cagliari. Questo ha il pregio di conservare importanti reperti che testimoniano la lunga (e per certi versi travagliata) storia delle ricerche in Sardegna.»

E sulla necessità o meno del lavoro sul campo, l’esperto è categorico: «La paleontologia non può farne a meno.»

Sì, le nuove tecnologie possono dare una mano “ad esempio per ristudiare attraverso nuove metodologie reperti conservati da anni nei musei”, tuttavia: «Non si può (e non si deve) fare a meno dei nuovi dati acquisiti sul terreno. Ci sono poi filoni di ricerca dal sapore fantascientifico, ad esempio c’è chi spera un giorno di ridare vita a specie estinte. Sarebbe certamente bello poter vedere un tirannosauro vivo e vegeto ma con le conoscenze ad oggi disponibili è tecnicamente impossibile. Forse tra centinaia o migliaia di anni (se nel frattempo non ci saremo sterminati con le nostre mani) avremo le tecnologie per “giocare” col DNA e si riuscirà a ridare vita a un dinosauro mesozoico. Penso sia più probabile che un giorno si riuscirà a clonare un mammuth, chi vivrà vedrà! In ogni caso i dinosauri sono sempre attorno a noi sotto forma di migliaia di specie di uccelli, al momento dobbiamo “accontentarci” di questi!»

Nelle ultime settimane, Zoboli si è però imbarcato in un progetto particolare, dispendioso in termini di tempi di realizzazione ma incredibile: «Voglio creare un modello in scala reale del gigantesco millepiedi Arthropleura armata, il più grande artropode terrestre ad oggi noto che poteva raggiungere e superare i 2 metri di lunghezza. I fossili di questo “mostro” sono noti in diversi paesi europei e lo scorso anno abbiamo descritto il primo fossile di questo animale ritrovato in Sardegna. Ho iniziato a realizzarlo per il corso di museologia ma per portarlo a termine serviranno molte ore di lavoro che vanno ben oltre quelle a disposizione per il corso. Spero che un giorno questo modello possa essere terminato ed esposto al pubblico.»

Ma non solo: «In questo periodo sto anche preparando alcune lezioni di geologia e paleontologia per l’università della terza età, questo è molto appagante soprattutto perché sottolinea come questi temi siano di interesse per una variegata platea di persone. Attualmente io e il collega naturalista Giorgio Lai stiamo portando avanti l’idea di produrre brevi documentari “home made” incentrati sulla paleontologia sarda, ci auguriamo possa nascere qualcosa di appetibile per il pubblico.»

«Credo che la divulgazione in ambito paleontologico sia molto importante per avvicinare le nuove generazioni così come successo a me tanti anni fa.»

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Fonte: Ogliastra News Mario Marcis

Marincani era una contadina che viveva sulle pendici di monte Tarè, insieme al marito Perdu Coita, un burbero pastore del posto, che difficilmente faceva amicizia con qualcuno.

Non avevano più pane e Maria decise di recarsi a cercarlo nel villaggio vicino, barattandolo con il formaggio delle loro pecore, come si usava fare, perchè non c’erano soldi in circolazione.

Era mezzogiorno quando era già di ritorno sulla mulattiera polverosa che la conduceva alla capanna, faticando con la cesta del pane sulla testa. Gli si fece incontro un bambino che gentilmente le chiese qualcosa da mangiare. Leggende ogliastrine. La leggenda dei giganti di porfido e del pane che si trasformò in pietraMaria, che aveva fama di donna avara e senza cuore, non si smentì neppure questa volta e gli disse che non aveva nulla, aggiungendo: “Se proprio hai fame, raccogli qualche sasso e mangialo”.

Il bambino, triste e sconsolato, si mise a piangere ma Maria, senza farsi intenerire, proseguì il suo cammino, sotto al sole.

Quando la vide arrivare, Perdu lasciò le pecore al pascolo e le andò incontro, chiedendole come fosse andato lo scambio. Lei rispose: “Ho trovato il pane”.

Il marito l’aiutò a tirare giù la cesta e grande fu la sorpresa nel vedere che non conteneva pane ma sassi. E non fecero in tempo a manifestare il loro stupore che anche loro vennero tramutati in due statue di pietra.

Sono quelle che possiamo trovare là dove accadde il fatto, sulla parte sud orientale di Tarè, visibili a tutti coloro che percorrono la vecchia strada che da Loceri porta a Lanusei.

Testo tratto da “Ogliastra, paesi e leggende” di Fidalma Mameli

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Fonte: Ogliastra News Mario Marcis

Non è mai esistita Giovannangela o Mariangela, la presunta fidanzata di Samuele Stochino. La leggendaria figura al fianco del sergente della Grande Guerra è frutto di un equivoco dovuto ad una battuta metaforica.

Non esistono riferimenti anagrafici e non viene mai menzionato il suo cognome, e le fotografie in cui sarebbe raffigurata non sono sue. Sono state scritte numerose favole attorno alla figura della giovane immaginaria, addirittura ci sarebbe stato un altro pretendente che avrebbe contrastato l’amore tra Stochino e la sua presunta fidanzata.

Questo amore sarebbe finito in tragedia, con la morte prematura della misteriosa giovane a causa di una grave malattia a fianco dell’ex sergente, durante la sua latitanza. L’avrebbe sepolta nei pressi di “Perda ‘e Liana” in un luogo sconosciuto, e dove nessuno avrebbe mai disturbato il suo eterno riposo.

Come detto in precedenza, il tutto nascerebbe da un’interpretazione sbagliata, in quanto era uno stratagemma verbale l’utilizzo da parte di Stocchino del termine “fidanzata”. Infatti la parola usata dall’ex sergente era un modo metaforico per definire il compagno di latitanza, senza far sospettare che questo esistesse ai numerosi confidenti delle forze dell’ordine e cacciatori di taglie.

Il compagno di latitanza di Stochino era il famigerato bandito orgolese Onorato Succu, un personaggio primario nelle tristi vicende storiche barbaricine del periodo.

Era fondamentale per un ricercato avere un latitante d’appoggio, soprattutto negli incontri occasionali, dove uno si presentava e l’altro rimaneva nascosto a coprirgli le spalle.

Nel caso di Stochino e Succu risultava vitale utilizzare questo sistema, vista la grossa taglia che pendeva sul loro capo. In Ogliastra solitamente era l’orgolese a rimanere nell’ombra e proteggere l’arzanese, mentre nel nuorese le parti si invertivano. Si racconta, fu determinante, nel Bosco di Santa Barbara a Villagrande, la presenza di Succu nascosto tra gli alberi di leccio per salvare Stochino da una trappola.

L’orgolese apparve improvvisamente ai presenti imbracciando il moschetto carico, e liberò l’amico arzanese legato e pronto ad essere consegnato alle forze dell’ordine. L’unione tra i due latitanti finì la notte tra il 29 e 30 Marzo del 1927 quando Onorato Succu morì in un conflitto a fuoco con i carabinieri nel territorio di Mamoiada. “Su Zigante”, come era soprannominato, aveva quarantatré anni e dal 1908 da quando ne aveva ventiquattro si era dato alla macchia.

Nel conflitto a fuoco perì anche il carabiniere Pietrino Melis di Gairo, e si racconta proprio sia stato lui a uccidere il latitante orgolese, che a sua volta esplose in contemporanea un colpo dal suo moschetto non lasciando scampo al gairese.

La mancanza dell’amico latitante fu una grave perdita per l’ex sergente, vista l’importanza del personaggio e per i consigli dell’orgolese, più vecchio di lui di ben undici anni, essendo l’ogliastrino del 1895. Sarebbe sopraggiunta poco più di un anno dopo, la morte di Samuele Stochino nel febbraio del 1928.

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Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda

Tragedia questa mattina in Sardegna.

Un 22enne è stato trovato morto, dopo essere annegato in un pozzo nelle campagne di San Teodoro in località “Lutturai”.

La vittima è Danilo Sulas, e da quanto si ipotizza il giovane sarebbe caduto all’interno della cavità, profonda circa sei metri e con tre metri d’acqua, nel tentativo di salvare il suo cane – anch’esso ritrovato morto dentro il pozzo – non riuscendo a risalire – come riporta ANSA -.

Sul posto i Vigili del Fuoco del comando provinciale di Nuoro e del distaccamento di San Teodoro, la squadra VVF di Siniscola e una squadra del Nucleo SAF di Nuoro e i Sommozzatori VVF di Sassari.

Presenti anche i Carabinieri e il servizio sanitario del 118. Su disposizione del Magistrato è stato autorizzato il recupero della salma è consegnata i familiari.

 

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Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda

Addio a don Arcangelo Atzei, deceduto oggi all’età di  89 anni.

Il religioso si trovava presso il convento di S. Antonio da Padova a Quartu.

In passato, dal 1974 al 1978, parroco nella chiesa della B.V Stella Maris ad Arbatax.

I funerali si svolgeranno domani, nella parrocchia S. Antonio di Padova a Quartu alle ore 15.30.

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Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda