«Mi sono trasferita all’inizio del 2014 per il programma Leonardo. Sarei dovuta stare per 3 mesi, ma appena messo piede a Londra ho capito che ci sarei rimasta.»

Ecco come l’architetta villagrandese Irene Scudu inizia il suo racconto.

Tramite il progetto, come spiega, inizia a lavorare per un’organizzazione non-profit che si occupa di promuovere progetti di efficienza energetica in Regno Unito e in Europa. Allo scadere del tempo, senza successo, cerca lavoro ma la fortuna è dalla sua parte e l’estensione del contratto è cosa fatta: «La società aveva ancora bisogno di me.»

Si immerge completamente nel suo nuovo mondo inglese, Irene, grazie a colleghi e colleghe che la fanno sentire la benvenuta.

«Prima della fine del contratto ho trovato lavoro al Building Research Establishment (BRE), una società che si occupa di ricerca e sviluppo nelle costruzioni e nella sostenibilità. Qui ho lavorato prevalentemente come consulente tecnica per il BREEAM, un protocollo di certificazione della sostenibilità degli edifici. Era un sogno che si avverava. Avevo studiato il BREEAM durante il Master in Architettura Ecosostenibile qualche anno prima, ed ora mi ritrovavo a lavorare nella società che lo aveva ideato e a partecipare allo sviluppo. La sede del BRE era, ed è tuttora, a Watford dove mi sono, inizialmente a malincuore, trasferita, e ancora abito.»

“In the middle of nowhere” (in mezzo al nulla): ecco dove si trova il nuovo ufficio della villagrandese, ma questo non è un limite o una cosa negativa: «In pausa» racconta «andavo a correre, giocavo a tennis e ping-pong.»

Il filo conduttore dei suoi studi, in ogni fase della sua carriera scolastica – dal liceo alla laurea per arrivare a master e corsi di specializzazione all’estero –, e del suo percorso professionale è proprio la sostenibilità ambientale.

«Dopo 5 anni al BRE avevo voglia di cambiare e, dopo una pausa e una breve parentesi in una grande società internazionale, ho trovato lavoro come progettista e consulente Passivhaus in un piccolo ma rinomato studio di architettura, in un’altra contea, non troppo lontano da casa.» continua. «Era marzo 2020 e dopo una settimana mi sono ritrovata a lavorare da casa a tempo pieno. Il lavoro mi piaceva moltissimo e mi dava la possibilità di progettare e di mettere in pratica le competenze acquisite durante il corso per progettista Passivhaus qualche anno prima. Passivhaus è uno standard che certifica edifici ad altissime prestazioni energetiche, elevato comfort termico e qualità dell’aria.»

Nello studio Irene si occupa di nuova costruzione, ristrutturazione e riqualificazione energetica prevalentemente nel settore residenziale: «Facevo la progettista e davo supporto ai miei colleghi e consulenza ad altri studi di progettazione su come sviluppare progetti conformi agli standard energetici del protocollo.»

Ma arriviamo al presente, perché nel frattempo lo studio cambia sede e per vari motivi l’ogliastrina decide di cambiare.

«Ora lavoro da Max Fordham, una società principalmente di ingegneria impiantistica, ma che offre anche altri servizi, tra i quali la Passivhaus. Il mio ruolo è appunto Senior Passivhaus consultant. L’ufficio è a Camden, un quartiere molto bello e colorato di Londra vicino a Regent’s Park, dove passo quasi tutte le mie pause pranzo. Il lavoro è in parte simile al precedente, ma a scala molto più ampia e in diversi settori dal residenziale agli alloggi per studenti, scuole e centri multifunzionali. Lavoro al fianco di architetti, ingegneri impiantisti, strutturisti ecc., e do consulenza su come progettare per ridurre i consumi energetici e ottenere la certificazione.»

L’architettura le manca, qualche volta, ma tutto è compensato da altri elementi: «Sono felice di contribuire ai progetti su altri fronti. Il mio lavoro mi gratifica molto, specie quando riesco, insieme al team di progettazione, a trovare soluzioni costruttive sostenibili e esteticamente gradevoli.»

«Come dicevo abito a Watford, ora felicemente» chiarisce. «Non mi volevo trasferire all’inizio e ho provato a fare la pendolare. Col tempo ho iniziato ad apprezzarla. Ora abito sulla via principale e vicinissimo a Cassiobury Park. Qua trascorro tanto del mio tempo libero, vado a correre, in bicicletta e faccio lunghe camminate. Il parco è adiacente a un bosco di faggi che in primavera si riempie di campanule blu, bluebells (nella foto), ed è uno spettacolo camminare per i suoi sentieri. Il canale, in foto, Grand Union Canal, collega Londra a Birmingham e Leicester passando per Watford.»

La nostalgia per la famiglia si sente, dice, soprattutto per la mamma, nipotini e nipotine: «Mi trasferirò un giorno.»

«Londra mi piace moltissimo. Mi piace essere circondata da un ambiente multi-culturale e ho amici da tutto il mondo» racconta. «Qua succedono un sacco di cose dal punto di vista artistico, musicale, ecc., e tutto passa di qua, prima o poi. Da appassionata di vini, mi piace che il panorama enologico sia molto vario, così come quello gastronomico. È anche una città che però prende un sacco di energie e tutto sembra temporaneo, almeno a me. Degli inglesi, sul lavoro, mi piace molto che pensano più alle soluzioni che ai problemi. E quando c’è da fare qualcosa di nuovo la fanno, senza bisogno di commissioni speciali di esperti. Si buttano e se sbagliano, pazienza, imparano la lezione e vanno avanti. Anche io ho abbracciato questo approccio sul lavoro e nella vita.»

E, quando si parla di dare un consiglio a chi volesse trasferirsi in Inghilterra, Irene suggerisce di: «Non sottovalutarsi, cercare il lavoro adatto alle proprie competenze e ambizioni e credere in sé stessi/e. Avere coraggio.»

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Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda

In occasione della Giornata mondiale della Biodiversità, che si celebra oggi, l’Associazione Allevatori della Regione Sardegna ricorda che l’Isola è una terra di biodiversità zootecniche poiché può annoverare ben 12 razze autoctone.

Tra queste, tre bovine (Sarda, Bruno-Sarda, Sarda-Modicana), due ovine (Sarda e Nera di Arbus), due caprine (Sarda e Sarda primitiva), una suina (Sarda), due equine (Giara e Sarcidano) e due asinine (Sardo e Asinara).

Secondo i dati dell’Aars, la consistenza media in Sardegna del bovino razza Sarda è pari a 25.993 capi, per il bovino razza Bruno Sardo pari a 34.073 capi e per il bovino razza Sardo Modicano con 2.253 capi. Riguardo i capi ovini, quelli di razza Sarda sono 2.500.000, quelli di razza Nera di Arbus 9.316 capi, mentre per le capre di razza Sarda sono 13.299 e quelle di razza Sarda primitiva 7.954.

I maiali di razza Sarda sono 390, i cavallini della Giara sono 542, mentre il Cavallo del Sarcidano è presente con 102 capi. Infine sono 380 gli asini dell’Asinara e 2.980 i capi di Asino Sardo.

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Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda

Chissà quante volte i fan di Vasco Rossi si sono chiesti quando e come sia venuta al proprio beniamino l’idea di scrivere il brano che è forse il suo capolavoro più grande, “Vita spericolata”.

L’idea gli è venuta proprio in Sardegna, nel lontano 1982.

Il merito fu di un concerto che si tenne ad Assemini nel campo sportivo di Santa Lucia, il suo primo concerto in Sardegna. La canzone fu poi presentata al Festival di Sanremo del 1983.

«In occasione del mio primo concerto in Sardegna, nel 1982 al campo sportivo di Assemini – raccontò Vasco Rossi – mi venne l’idea di scrivere “Voglio una Vita Spericolata” ispirato da questa meravigliosa terra cruda e selvaggia, orgogliosa e fiera, di sassi, di sole e di vento».

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Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda

Lo sapevate? Nell’estate del 1985 Falcone e Borsellino prepararono l’istruttoria del Maxiprocesso sull’Isola dell’Asinara. Erano con le famiglie e pagarono pure il conto.

Paolo Borsellino e Giovanni Falcone arrivarono all’Asinara nell’estate del 1985. La Mafia stava già progettando qualcosa nei loro confronti.

Falcone, sua moglie Francesca, Borsellino, la moglie e i figli e in 48 ore vennero spediti all’Asinara: in aereo fino ad Alghero, poi a Porto Torres via terra ed infine nell’isola con la motovedetta degli agenti. Per i due magistrati di punta del pool antimafia era difficile continuare a lavorare. Una situazione drammatica. I telefoni funzionavano male e i due magistrati non avevano tutti i documenti necessari per lavorare. Restarono un mese e pagarono il conto: diecimila lire al giorno per stare alla foresteria della Casa Rossa, più i pasti. Non chiesero il rimborso.

I due magistrati lavoravano nella foresteria di Cala d’Oliva, ogni tanto riuscivano ad andare in spiaggia. A portare una ventata di umorismo e spensieratezza un altro magistrato, Giuseppe Ayala, che si presentò insieme al collega Di Lello. Il ricordo di Falcone e Borsellino non è mai stato cancellato dall’Asinara.

Per anni la foto in bianco e nero dei due magistrati sorridenti è rimasta esposta nel corpo di guardia del supercarcere di Fornelli, riaperto proprio dopo le stragi del 1992. E oggi di quella permanenza rimane anche una targa.

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Fonte: Ogliastra News Mario Marcis

Una delle voci considerate più belle e rappresentative della Sardegna degli ultimi vent’anni è senza ombra di dubbio quella di Andrea Parodi, il cantante che dotato di un timbro incredibile, fondò insieme a Gino Marielli e Gigi Camedda il famoso gruppo dei Tazenda. Nel 1991 il trio si esibì sul palco di Sanremo con la canzone “Spunta la Luna dal monte”, ricevendo grande successo. Ma torniamo un attimo indietro nel tempo.

È il 1983 e i Tazenda ancora non esistono.  Andrea, Gino e Gigi però, già operativi nel mondo della musica erano allora conosciuti come Coro degli Angeli, riscontrando già in questi anni critiche positive, fra cui alcune nel panorama nazionale che li considerava uno dei migliori gruppi vocali d’Europa.

Arrivano i successi e nel 1987 pubblicano l’album Misterios, del quale tutti conoscono “Nanneddu Meu” e “Non potho reposare”, i cui versi hanno fatto sognare tanti musicisti e altrettanti amanti della musica, e che diventarono in seguito repertorio dei Tazenda e dello stesso Parodi.

Ma non tutti sanno che all’interno di questo album così acclamato c’è una canzone che ha una particolarità.  Si chiama Ninnidu Silenziosu e con il testo di Antonio Strinna, venne registrata dal Coro degli Angeli nel 1984 e cantata in sardo come da tradizione. Questa non è altro che una curiosa versione in sardo del classico della musica “The Sound Of Silence” del popolare duo folk Simon & Garfunkel, formato da Paul Simon e Art Garfunkel.

Il significato della canzone riguarda un momento di profonda riflessione e il silenzio che viene generato. Riportiamo qui il video della canzone, il testo originale in sardo e la sua traduzione in italiano.

Il testo originale in sardo:

Umbra pena de ammentu deo faeddo che-i su ‘entu ca so nìnnidu de arvures in andèras de su tempus. Deo terra de antiga pizinnìa finza muda e suffrende so ìa. In su sonnu ‘e su nuraghe so una ‘oghe chena paghe e m’accero in su silenziu meu, in su sabore de s’avrèschida. Su passadu si che morit cun a mie ma sa notte giughet sempre sa die. E-i sa terra mia ferida faghet naschere sa vida: de fadiga e temporadas est pigadu cust’ isettu meu. A su viaggiu de sa zente, zente mia, so istrintu comente a una pupìa. A su viaggiu de sa zente, zente mia, so istrintu comente a una pupìa, comente a una pupìa.

Testo tradotto in italiano:

Ombra piena di ricordi , io parlo con il vento, sono una ninna nanna di alberi lungo i sentieri del tempo. Io terra di antica giovinezza anche muta e sofferente, sono viva. Nel sonno del nuraghe sono una voce senza pace e mi affaccio nel silenzio, nel sapore dell’alba. Il passato muore insieme a me ma la notte porta sempre il giorno. La mia terra ferita  fa rinascere la vita: da fatica e temporali è risorta questa mia attesa. Al viaggio della gente, gente mia, io sono stretto come a una bambola.

 

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Fonte: Ogliastra News Mario Marcis

Con una bellissima carrellata di immagini d’epoca, Giuseppe Puncioni riesce a raccontare la storia di Tortolì e Arbatax.

Personaggi del passato, abiti della tradizioni, scorci di monumenti e spiagge che oggi hanno cambiato completamente aspetto, scatti del centro storico e delle attività del tempo: questo e tanto altro in questo lavoro di ricerca fotografica davvero certosino.

Il video:

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Fonte: Ogliastra News Mario Marcis

Si chiama Salvatore Monni, sì, ma per i bambini del Microcitemico e non solo lui è Batman: travestito dal supereroe più amato dai più piccoli, regala sorrisi ed emozioni ai piccoli pazienti che stanno combattendo battaglie più o meno ardue.

«Batman nasce dalla voglia di far sognare i bambini in difficoltà,» racconta Monni «per regalare loro un’emozione, un ricordo da tenere custodito nel loro cuore per il resto della loro vita.»

Ma il processo che porta a Batman è lungo.

«Non mi sono mai piaciuti i lavori troppo banali, ed ecco perché nella mia vita ho cercato di differenziarmi: altrimenti mi sarei annoiato.»

Sì, perché Monni fa il modello di nudo al Liceo Artistico di Cagliari, diventa presentatrice televisiva di una tivù locale e ancora prete al Teatro Lirico durante “La Tosca”. Gli piace stupire, questo lo fa grazie a un carattere buono, spumeggiante, che riesce a entrare subito nel cuore delle persone.

«Al Teatro Lirico,» spiega «ricordano ancora dell’unico prete al mondo con un sexy shop!» ride. «Travestirsi è anche esprimere un lato nascosto, un viaggio dentro varie personalità che a volte nemmeno sappiamo di avere. La mia esperienza nel volontariato in ospedale con gli adulti e poi con i ragazzi disabili mi ha preparato al passo successivo nei reparti pediatrici e Batman sembrava perfetto: non un supereroe con i poteri, ma un uomo che ha saputo dare senso alla sua vita da un’esperienza negativa. Ed è quello che cerco di trasmettere ai bimbi in ospedale: non mollare mai, combattere la loro battaglia proprio come Batman combatte i cattivi!»

Ai suoi piccoli fan, che lo accolgono sempre con gli occhi belli e pieni di stupore della giovinezza, poi, dà i braccialetti in silicone con il logo del loro idolo in modo che abbiano «ulteriore forza per affrontare la malattia» e dei mini proiettori da parete «per farli sentire meno soli la notte».

Ed è qui che si palesa il grande cuore di Monni-Batman: quello che sta bene quando si addormenta sapendo che un piccolo guerriero, in quel momento, vede sul muro il simbolo del suo idolo e dorme meglio. E chissà… Magari ha più forza per affrontare, la mattina successiva, la sua battaglia per la vita.

«In fondo siamo tutti un po’ Batman mentre cerchiamo di attribuire un significato alla vita. Come è successo a me quando, parecchi anni fa, seguii le vicende del Batman di Baltimora: era un filantropo milionario a cui non mancava nulla. Aveva successo, soldi, una bella famiglia. Ma si travestì, girò i reparti pediatrici della sua zona e portò ai bambini tanti regali a bordo della sua Lamborghini nera, quando avrebbe potuto staccare un assegno e lavarsi la coscienza. Lenny fece di più: regalò il suo tempo, ciò che abbiamo di più prezioso! Era amato dai bimbi, aveva un sorriso contagioso, sapeva entrare in contatto con loro.»

Purtroppo, come racconta Monni, il supereroe americano muore in circostanze tragiche ed è proprio il dolore per la sua morte – il 48enne seguiva le sue prodezze da tempo con ammirazione – che gli dà la spinta a diventare come lui, a dare conforto ai piccoli pazienti.

«Raccolsi la sua eredità a modo mio e, da grande sostenitore del butterfly effect, quando un battito d’ali di una farfalla può generare un uragano dall’altra parte del mondo, imparai la lezione da quel nobile uomo e ordinai dal Canada un costume. Non un costume qualunque, ma proprio una replica cinematografica in pelle e kevlar, di 12 chili di peso! Non volevo che i bambini avessero davanti la percezione dell’ennesima persona travestita, ma che avessero il vero Batman in carne ed ossa! Fantasticare, sognare, emozionarsi e regalare speranza a bambini con un destino infelice: questo è stato il fine di indossare quel costume. E non chiamiamolo cosplayer o maschera di Carnevale: dietro c’è molto di più, lo testimonia un bimbo che del suo periodo di ricovero al Microcitemico ricorda, a distanza di anni, l’incontro con il Supereroe. Non aghi, punture, terapie ma la figura idealizzata di Batman per sfuggire al ricordo sofferto di quella vita da ricoverato. O ricordo anche la bimba che aveva perso la mamma tempo prima e Batman, in quanto Supereroe, poteva fare da tramite con il Paradiso… qui lo scopo diventava recapitare un messaggio di speranza e amore a una bimba che il sorriso lo aveva perso.»

Monni racconta che, prima del Covid, aveva avviato – parallelamente a quello delle visite al reparto pediatrico del Brotzu e al Microcitemico – un altro progetto: quello di far entrare, insieme ad altri professionisti, la figura di Batman nelle scuole primarie.

«Abbiamo scritto un discorso di poche righe da raccontare ai bambini nelle classi. Il programma consisteva in pochi minuti di educazione civica dove Batman si improvvisava insegnante di empatia per spiegare ai bambini come diventare veri Supereroi. E si poteva fare attraverso 3 semplici regole da imparare a memoria: aiutare i genitori, le maestre e i compagni.»

Beh, queste regole, dette da Batman assumevano un altro significato e quale bambino si sarebbe potuto esimere? «Funzionava» racconta Monni, entusiasta «e alla fine della lezione dovevano disegnare qualcosa che avrebbero potuto comunicare a Batman! Non era una giornata fine a se stessa, ma auspicio di riflessione per diventare bambini più empatici e adulti migliori!»

Dopo pochi appuntamenti, il Covid-19 blocca tutto, ma Monni riesce, con un incontro virtuale con Zoom, a far incontrare ai bimbi i Supereroi. E non solo.

«Il giorno della Befana, con il supporto del camion dei Vigili del Fuoco, sono arrivato insieme a Spiderman alle finestre del quinto e sesto piano del Microcitemico per consegnare le calze!»

È solo questione di tempo, poi Batman riuscirà a rientrare nei reparti per regalare un sogno ai bambini. E un sorriso – e che venga benedetto il sorriso dei più piccoli, soprattutto quando combattenti.

«Batman e tutti i volontari servono a questo: a spezzare la routine infernale, a regalare momenti di svago e strappare un sorriso liberatorio. I bambini e i genitori mi ringraziano ma la verità è che sono io a essere grato a loro per darmi la possibilità di essere un uomo migliore, che vede la vita con una prospettiva diversa. Non c’è tempo per le lamentele, per le perdite di tempo. La vita ha senso e valore se penso ai bimbi che ho conosciuto e che sono diventati angeli.»

E non solo: «Consiglio a tutti il volontariato, è una grande esperienza di vita. Concludo dicendo che, in un mondo sempre più venale, dove ogni cosa ha un prezzo, io scelgo il valore al denaro. La mia è una missione che porto avanti gratuitamente, tradirei me stesso se accettassi soldi.»

E ne vale la pena, nonostante i sacrifici – come spiega.

«E alla gente che mi chiede chi me lo faccia fare, rispondo: il sorriso che si intravede negli occhi illuminati dei bimbi sfortunati che ho incontrato, e i loro caldi e amorevoli abbracci.»

L’articolo Si traveste da Batman per strappare ai bimbi ricoverati un sorriso: «Farli felici è la mia missione» proviene da ogliastra.vistanet.it.


Fonte: Ogliastra News Michela Girardi

Se vi siete imbattuti nelle feste popolari tipiche sarde come quella di Sant’Efisio a Cagliari o la Cavalcata di Sassari, avrete sicuramente notato i classici indumenti, riconoscibili nei tratti caratteristici come i colori, i tessuti e lo stile particolare dei vari “componimenti”. Si possono ammirare anche nei diversi musei etnografici della Sardegna.
Ma, come nasce questa tradizione e quali storie si celano dietro gli abiti?
Scopriamolo insieme!

Il costume sardo, diverso per ogni località, indicava la provenienza di chi lo indossava, esaltando l’estrazione e lo stato sociale. Ogni costume era adatto per particolari occasioni: quelli più originali ed elaborati per le feste, più semplici per tutti i giorni, diversi per i ricchi e per i poveri, per le donne sposate, per le nubili e per le vedove.
Nonostante i costumi sardi siano tutti particolarmente elaborati e variopinti, la differenza tra uomo e donna era notevole anche in questo aspetto: colorati e sgargianti per le donne, più severi quelli degli uomini.

L’attività tessile nella nostra regione risale all’Età del Rame e fortunatamente sono ancora tante le testimonianze arrivate fino ad oggi dall’epoca romana. Tra i materiali utilizzati per la realizzazione degli abiti sardi, il più originale è il broccato: un tessuto pregiato che ha origine nel 300 d.C. in Asia. I diversi colori del broccato, nell’abito sardo, rappresentavano una determinata fase della vita.

Sugli abiti sardi si possono individuare le influenze dei popoli invasori del passato: ogni comunità infatti può contare su un proprio vestito tradizionale diverso da tutti gli altri.
La realizzazione non è semplice e il lavoro degli artigiani veniva tramandato da generazione in generazione.Il vestito tradizionale delle donne può contare sulla cuffia, una camicia sempre di colore bianco e il corsetto che può essere di diversi tagli. Per decorarlo ulteriormente si usava “sa sabeggia” un amuleto donato ai neonati che veniva portato per tutto il corso della vita.
“Su sciallu” (lo scialle) solitamente nero o marrone, veniva arricchito con motivi floreali.

Per quanto riguarda il costume maschile, invece, abbiamo: la camicia,  i pantaloni di lino bianco, il gilet, il berretto, la giacca.
Del costume può far parte anche la mastruca, grande cappotto di lana con pelle di pecora. Questo indumento ha una storia particolare: si tratta di una veste di pelle lanosa; Cicerone definiva i sardi come “latruncoli mastrucati” e questo riferimento era collegato alla convinzione che il popolo sardo era riuscito a non farsi mai sottomettere del tutto dai romani.

Altro elemento molto particolare è sicuramente “sa Berritta”: il copricapo di forma cilindrica in panno nero (a volte anche rosso), che aveva all’interno un taschino per il tabacco o il pettine.
Infine, “su saccu nieddu”: la mantella dei pastori, porcari e caprai, era uno scaccia acqua e li proteggeva durante i temporali.

Davide Gratziu, giovane illustratore e grafico di Cagliari, ha dedicato delle sue opere a questo argomento, studiando nei minimi dettagli le caratteristiche di ogni indumento. Ci mostra quindi degli esempi di questi meravigliosi abiti, raccontandoci il suo modo di immaginare le donne e gli uomini di quell’epoca.

 

“Trittico donna in abito sardo”.
Siamo donne, siamo madri, siamo sorelle e siamo unite.
Siamo la forza che porta avanti la famiglia, la corazza della casa e della società.

 

 

“Uomo in abito sardo.”

Ogni mattina mi sveglio alle 4.
Ho la mia routine. Seguo il pascolo, passeggio per le mie terre.
Assaporo il profumo della natura che mi circonda.
Arricchisco la mia anima con l’essenza delle nostre tradizioni.
Sono un uomo.
Sono un pastore.
Sono un amante della natura.
Sono sardo.

 

“Donna sarda mosaico”.
Una folata di vento mosse il mio velo.
Ero bellissima. Usavo l’abito di mia madre. Sembrava cucito sulla mia pelle. Strati di tessuto raffinato, gioielli che illuminano il mio viso e mi rendevano fiera delle mie tradizioni.
Passeggiavo per il mio paese.
Mi sentivo come in un limbo nel tempo.
Ero avvolta dalla storia dei miei avi e dal futuro dei miei figli.

Sono qui ora, lo sono sempre stata e ci sarò per sempre. 

L’articolo Tutte le curiosità dietro agli abiti tradizionali sardi. La parola all’artista Davide Gratziu proviene da ogliastra.vistanet.it.


Fonte: Ogliastra News Michela Girardi

Un terribile incidente avvenuto a Ittiri intorno alle 20 ha portato alla morte un giovane di soli 20 anni.

A bordo dell’altra macchina, coinvolta nel tragico frontale, si trovava una famiglia composta da padre, madre e figlioletto.

Sul posto sono subito intervenute le forze dell’ordine e i soccorsi ma per il giovane non c’è stato niente da fare.

Notizia in aggiornamento.

L’articolo Ancora sangue sulle strade sarde, muore un 20enne in uno scontro frontale proviene da ogliastra.vistanet.it.


Fonte: Ogliastra News Michela Girardi

La bellezza di alcuni esemplari di muflone e un daino in una radura imbiancata dalla neve.

In queste suggestive fotografie realizzate da Elisabetta Meloni, possiamo ammirare questi eleganti animali selvatici alle prese con le basse temperature invernali di questi giorni.

Un punto di vista molto particolare, per delle scene che raramente capita di vedere.

Ringraziamo la talentuosa fotografa per averle condivise con noi.

Ph: Elisabetta Meloni

Ph: Elisabetta Meloni

Ph: Elisabetta Meloni

Ph: Elisabetta Meloni

Ph: Elisabetta Meloni

L’articolo (FOTO) Mufloni e daini tra la neve: le spettacolari immagini di Elisabetta Meloni proviene da ogliastra.vistanet.it.


Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda