Rita Fanni, casalinga tortoliese, oltre a quella per la lettura coltiva da sempre la passione per la cucina. Il suo cavallo di battaglia? I piatti a base di pesce, che prepara spesso per marito, figli ed amici.  Oggi ci propone una gustosa ricetta: i calamari ripieni di uvetta. Un secondo di pesce che conquisterà ogni ospite, di media difficoltà.

“E’ un piatto che inizialmente può sembrare stravagante ma posso garantirvi che il dolce dell’uvetta si sposa benissimo con il sapore del pesce. Da provare assolutamente!” afferma Rita.

 

 

INGREDIENTI PER 4 PERSONE:

300 ml di passata di pomodoro

4 calamari medi

4 cucchiai di pane grattuggiato

2 cucchiai di formaggio grattuggiato, 2 uova, 20 grammi di uvetta

Uno spicchio d’aglio, peperoncino e un ciuffo di prezzemolo, una spruzzata di vino bianco

Olio e sale q.b.

PROCEDIMENTO

Mettere a bagno  l’uvetta in un bicchiere di acqua calda ed iniziare a pulire i calamari.

Sciacquateli sotto l’acqua corrente, ed eliminate la pelle esterna, poi con le mani staccate delicatamente la testa dal mantello e tenetela da parte. Una volta estratta la testa, sempre con le mani, cercate la penna di cartilagine trasparente che si trova nel mantello ed estraetela delicatamente. Passate nuovamente il calamaro sotto acqua corrente, lavatelo ed estrarre le interiora dal mantello

A questo punto togliete i tentacoli, sminuzzateli e rosolateli. Avrete quindi il primo elemento del vostro ripieno.

Lasciate raffreddare il preparato e aggiungete il pane grattugiato, il formaggio, l’uvetta, una presa di sale e qualche fogliolina di prezzemolo. Legate tutto con l’uovo sbattuto e farcite le sacche dei calamari.

In una padella a parte mettete a soffriggere olio, aglio e un po’ di peperoncino e aggiungete la passata.

Mentre il sugo cuoce chiudete, quindi, le aperture con degli stuzzicadenti e rosolate i calamari in padella con tre cucchiai di olio.

Appena avranno ceduto l’acqua, sgocciolateli e trasferiteli nel tegame con la salsa di pomodoro a bollore. Lasciateli cuocere li per 20-30 minuti.

Servite. Buon appetito!

Note: Il calamaro e’ un alimento delicato, cuocerlo troppo a lungo potrebbe causare di rompersi. Se si vuole si possono unire 10 grammi di pinoli all’impasto di uvetta.

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Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda

Ancora fiamme nelle campagne della Sardegna.

In data odierna, su un totale di 21 incendi occorsi sul territorio regionale, si segnalano 3 roghi, per lo spegnimento dei quali il Corpo forestale ha utilizzato, oltre alle squadre a terra del sistema regionale antincendio, anche mezzi aerei:

1 – Incendio in agro del Comune di Nurri località “Taccu de Nurri”, il cui spegnimento è stato coordinato dal personale della Stazione del Corpo Forestale di Isili, coadiuvata dal personale elitrasportato a bordo dell’elicottero proveniente dalle basi operative del CFVA di Sorgono e Villasalto. Sono intervenute 3 squadre dell’Agenzia Forestas e da 1 squadra di volontari delle associazioni di Isili. L’incendio ha percorso una superficie di circa 3 ettari di pineta e 5 di macchia. Le operazioni di spegnimento si sono concluse alle ore 17:17.

2 – Incendio in agro del Comune di Samassi località “Fatt.a Piras”, il cui spegnimento è stato coordinato dal personale della Stazione del Corpo Forestale di Sanluri, coadiuvata dal personale elitrasportato a bordo dell’elicottero proveniente dalla base operativa del CFVA di Marganai. Sono intervenute 1 squadra dell’Agenzia Forestas , 2 squadre della Compagnia barracellare . Le operazioni di spegnimento si sono concluse alle ore 16:59.

3 – Incendio in agro del Comune di Sorso località “Pedra Mincina”, il cui spegnimento è stato coordinato dal personale della Stazione del Corpo Forestale di Sassari, coadiuvata dal personale elitrasportato a bordo degli elicotteri provenienti dalle basi operative del CFVA di Bosa e Anela, Sono intervenute 3 squadre dell’Agenzia Forestas , 1 squadra della Compagnia barrace, 2 squadre dei VVF e da 1 squadra di volontari . Le operazioni di spegnimento si sono concluse alle ore 17:48.

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Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda

 

La leggenda, indica come luogo del “gran rifiuto” di Maria Cadelana, “la piazza” nella località campestre di Santa Lucia (Seui) durante i balli in onore della martire siracusana, dove ancora oggi è edificata l’omonima Chiesa.

Tale vicenda, tramandata oralmente nei paesi di Seui e Ussassai, narra di una faida scaturita dal rifiuto di Maria Cadelana di ballare con diversi giovani, che accettando l’invito di un giovane del villaggio di Parti, avrebbe portato alla distruzione di interi villaggi. Una versione della leggenda afferma che i villaggi interessati fossero Parti e Trobigitei, il primo nell’agro di Seui, il secondo in quello di Ussassai, secondo la tradizione sorgeva nella zona dove è situata la Chiesa di San Salvatore. Invece un’altra variante parla di un numero maggiore, tra i quali San Pietro e San Cristoforo (entrambi, attuale territorio Seui).

Questa giovane donna, dotata di una straordinaria bellezza, capace di ammaliare tutti gli uomini, tanto da oscurarne la mente per la gelosia, ancora oggi viene ricordata come nefasta con un’antica poesia, arrivata fino a oggi, quasi ad esorcizzarla:

“Maria Cadelana,

 mai in su mundu nomenada,

 Parti e Trobigitei,

 mai nomenada po’ mei.”

 

Da ricerche storiche la leggenda in questione, quindi Maria Cadelana, non sarebbe altro che la spiegazione, attraverso il mito, della Peste che sterminò la popolazione di questi villaggi.

Il luogo dove le narrazioni orali hanno attribuito sia avvenuto il “casus belli”, oggi rimane solo la Chiesa del XV-XVI secolo, molto probabilmente eretta su un tempio antico precedente, testimonianza di un villaggio che raccoglieva attorno a se, nei secoli passati, seuesi e tante genti dei paesi del circondario, durante la festa dedicata alla Santa protettrice della vista. Edificio che avrebbe bisogno di interventi di restauro, che però problematiche relative a vincoli di tutela della Soprintendenza, non hanno consentito.

Ancora oggi la prima domenica di luglio, viene festeggiata S. Lucia, con il pellegrinaggio dei fedeli con il simulacro della Santa che viene portato in spalla da Seui alla località campestre il Sabato, per poi festeggiare la Domenica in loco, e fare ritorno in paese la sera.

 

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Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda

 

Alla fine dell’ottocento in Sardegna il fenomeno del banditismo dilagava, le “grassazioni” cioè le aggressioni a mano armata a scopo di rapina erano drammaticamente frequenti. La cronaca dell’epoca riporta un impressionante numero di episodi finiti nel sangue, come quello eclatante del novembre del 1894, passato alla storia come “La Bardana di Tortolì”, quando una banda composta da più di 50 fuorilegge circondò la casa dell’uomo più ricco di Tortolì, il cavalier Vittorio Depau.

I banditi entrarono e uccisero un servo che si rifiutava di rivelare dove fossero nascosti gli averi della famiglia. La banda, individuato il nascondiglio in cui era custodito il ricco bottino, 27 mila lire in oro, 5 mila in gioielli, 20 mila lire in altri oggetti preziosi, saccheggiò i preziosi per darsi poi alla fuga. Il brigadiere Giua, gallurese, intervenne con i suoi commilitoni, ingaggiò uno scontro a fuoco e rimase ucciso.

Nella fuga anche i banditi persero un loro uomo, ma per paura che dal riconoscimento del cadavere si potesse risalire ad altri componenti della banda legati a quest’ultimo da rapporti di parentela, il corpo venne completamente spogliato, lasciato solo con le calze, decapitato con una leppa e la testa portata via.

Dall’osservazione dei protagonisti di fatti come questo, lo scienziato siciliano Niceforo, sulla scorta di teorie di lambrosiana memoria, trasse la conclusione che: «La varietà mediterranea ha un temperamento etnico formato da un insieme di caratteri psicologici tendenti ai reati di sangue». Definì i Sardi privi di quella «plasticità morale che fa mutare ed evolvere la coscienza sociale», affetti da «daltonismo morale» che per tratti genetici e condizioni geografiche erano uomini propensi alla vendetta e afflitti dalla inarrestabile ferocia tipica del «delinquente nato». La popolazione sarda accolse l’opera di Niceforo come l’ennesimo insulto alla gente sarda, ne scaturì una polemica durata anni sostenuta dall’intellighenzia che combatteva contro la teorizzazione scientifica della “razza maledetta”.

 

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Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda

Ricerche a tappetto nel Supramonte di Baunei per ritrovare un escursionista disperso.

Si tratta di un 46 anni residente a Cagliari, del quale si sono perse le tracce dalla mattinata di lunedì scorso.

A fare scattare i soccorsi, i familiari non avendo più notizie del congiunto. Il Soccorso Alpino e Speleologico è stato allertato delle 3 dai Vigili del Fuoco e dai Carabinieri di Lanusei, e ha provveduto ad inviare immediatamente sul posto una squadra di tecnici delle Stazioni Ogliastra, Sassari e Iglesias che hanno iniziato ad intervenire dalle prime luci dell’alba.

Le ricerche, partite sono partite da dove è stata trovata l’automobile dello scomparso e si stanno concentrando soprattutto sui sentieri principali e varianti che conducono a Cala Mariolu.

Le operazioni per ritrovare l’escursionista cagliaritano, interrotte in tarda serata, riprenderanno alle prime luci dell’alba di domani.

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Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda

 

In Sardegna l’euforbia si chiama “Sa lua” e si trova dappertutto. Contiene un lattice fortemente urticante che un tempo veniva utilizzato per stordire i pesci e pescarli facilmente, “Su pisci alluau”. In tempo di guerra si usava il lattice per simulare la cecità e farsi riformare e negli ultimi anni la scienza ne ha individuato le virtù terapeutiche.

L’euforbia è una diffusissima pianta della macchia mediterranea, che in Sardegna si può trovare praticamente ovunque. È un arbusto a chioma tondeggiante, che cresce prevalentemente in cespugli, ma talvolta assume la forma di alberello che raramente arriva fino a 3 metri di altezza. Produce dei fiorellini minuti gialli, disposti a ombrello da gennaio ad aprile, e quando arriva la stagione più calda va in letargo. La pianta, che in sardo si chiama “Lua” contiene un lattice tossico, fortemente urticante per le mucose e la pelle. Un tempo veniva utilizza per agevolare la pesca dei pesci dei fiumi e degli specchi d’acqua dell’interno dell’Isola: i pescatori sminuzzavano i rametti dell’Euforbia in un contenitore con dell’acqua tiepida e li pressavano in modo da far fuoriuscire tutto il lattice. La poltiglia ottenuta veniva versata nel corso d’acqua, essendo tossica per i pesci li stordiva facilitandone la cattura. Oggi questo sistema di pesca non si usa più perché è vietato, si usa ancora invece il modo dire “Alluau” riferito alle persone poco sveglie, o intontite dall’effetto di alcool o droghe appunto come “Su pisci alluau”.

Nell’ultimo periodo della Seconda Guerra Mondiale, quando i soldati scarseggiavano e venivano reclutati ragazzi sempre più giovani, si racconta che alcuni di loro per non venire arruolati, la sera prima della chiamata si fossero strofinati gli occhi col lattice dell’euforbia. La sostanza è talmente irritante da provocare, oltre a dolori lancinanti, una cecità transitoria, ma naturalmente la dolorosa gabola fu presto smascherata, e i ragazzi purtroppo furono costretti a partire per il fronte.

Due anni fa, un team di ricercatori della facoltà di Biologia Molecolare dell’Università di Cagliari, hanno isolato una proteina del lattice dell’Euforbia capace di ridurre del 95 per cento la crescita e la moltiplicazione dei protozoi che causano la leishmaniosi, la terribile malattia parassitaria trasmessa attraverso la puntura del pappataccio, che in Sardegna colpisce moltissimi cani ed è trasmissibile, anche se raramente, all’uomo.

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Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda

Oggi il maltempo è arrivato in Ogliastra.

Un forte temporale si è abbattuto sulla zona, interrompendo il caldo delle ultime giornate e abbassando le alte temperature.

Nella foto realizzata da Simona, turista milanese in vacanza con il marito, si può osservare l’arrivo della precipitazione sulla costa.

Nel bellissimo scatto realizzato dall’alto,  sopra il porticciolo turistico di Santa Maria Navarrese, si possono osservare le nubi cupe e qualche fulmine che scende sul mare, mentre le imbarcazioni rientrano a terra.

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Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda

Un cucciolo di delfino è stato salvato oggi dalla Guardia costiera di Cagliari.

Era rimasto bloccato in una rete, un groviglio di fili di nylon che gli impedivano di nuotare.

L’allarme è scattato nel primo pomeriggio quando un diportista, navigando nelle vicinanze del porto, ha notato il delfino in difficoltà, chiamando il numero d’emergenza 1530.

La Capitaneria ha così inviato sul posto due battelli veloci con a bordo personale del Maritime Rescue Sub Center e del Nucleo sommozzatori della Guardia Costiera.

Gli specialisti si sono subito accorti che il delfino, un piccolo esemplare di tursiope – Tursiops truncatus -, non riusciva più a nuotare perché completamente intrappolato nella rete.

I soccorritori, grazie anche all’assistenza telefonica fornita dal personale del Centro Studi Cetacei di Nora, hanno tranquillizzato il cetaceo e lo hanno liberato.

Il cucciolo ha subito ripreso a nuotare, raggiungendo in brevissimo tempo un esemplare adulto, probabilmente la madre, che si trovava a distanza e seguiva le operazioni di salvataggio.

I due delfini si sono poi allontanati verso il mare aperto.

L’articolo Sardegna, intrappolato nella rete, cucciolo di delfino salvato dalla Guardia Costiera proviene da ogliastra.vistanet.it.


Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda

Nel litorale di Tortolì, subito dopo lo splendido arenile di Orrì, è situata un’altra bellissima spiaggia, nota “dei milanesi”.

In realtà la sua denominazione antica è Musculedda – toponimo in “Limba” – che prende il nome dall’omonima punta, e deriverebbe da una piccolo mitile (Fonte: Albino Lepori).

Si tratterebbe di un mollusco bivalve molto apprezzato per il suo gusto, che non viene allevato.

Intanto, per chi non conoscesse l’affascinate spiaggia Musculedda ecco un video e alcune immagini.

 

L’articolo (FOTO e VIDEO) Lo sapevate? Tortolì, il vero nome della spiaggia nota “dei milanesi” è Musculedda proviene da ogliastra.vistanet.it.


Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda

 

Esiste un edificio in stile Liberty, oramai circondato dalla vegetazione, testimonianza di un passato industriale del paese di Seui. La Laveria che sorge nella zona di San Sebastiano faceva parte del bacino carbonifero di “Fundu ‘e Corongiu”. Questa struttura costruita nel 1916 ed entrata in funzione nel 1918  serviva per il “lavaggio” del minerale grezzo trasportato dal giacimento attraverso una teleferica, per poi essere caricato sui vagoni del treno diretto ad Arbatax.

La Laveria di Seui posta nelle vicinanze del tracciato del Trenino Verde, nella linea Mandas-Arbatax è un edificio imponente, una struttura fondamentale per il bacino carbonifero di “Fundu ‘e Corongiu”. L’unico in Sardegna e tra i pochi in Italia nel quale veniva estratta l’antracite.

La laveria di Seui,  è stata costruita nel 1916 da parte della Società italiana delle miniere di Monteponi, titolare all’epoca della concessione di estrazione del bacino carbonifero seuese (unico di antracite della Sardegna e uno dei pochi d’Italia), ed entrò in funzione nel 1918.  Avete mai percorso il tratto Mandas-Arbatax con il Trenino Verde? Sicuramente avrete notato l’imponente edificio in stile Liberty che si affaccia nei pressi della linea ferroviaria.

Un tempo in questa struttura si “lavava” l’antracite, una tipologia di carbone dall’elevato potere calorifero. Il minerale si estraeva dal vicino giacimento carbonifero di “Fundu ‘e Corongiu” di Seui. Alla Laveria di San Sebastiano il carbone arrivava tramite teleferica e una volta “lavorato” conservato nei silos. Successivamente caricato sul treno diretto ad Arbatax per poi proseguire il viaggio sui vaporetti diretti nei porti dell’Isola e della Penisola.

L’edificio è stato costruito nel 1916 da parte della Società italiana delle miniere di Monteponi, titolare all’epoca della concessione di estrazione del bacino carbonifero seuese (unico di antracite della Sardegna e uno dei pochi d’Italia), ed entrò in funzione nel 1918. Oggi la struttura è in completo stato di abbandono, avvolta dalla folta vegetazione. Il tetto realizzato in lastroni d’amianto e i pavimenti lignei sono quasi completamente crollati.

Il fabbricato della laveria si sviluppa su tre piani, per una superficie totale di 1.408 mq. L’edificio disposto in cascata, costruito in cemento armato, aveva la seguente destinazione nella lavorazione del minerale: al terzo piano la frantumazione e la classificazione, al secondo piano sezione arricchimento (reparto crivelli), al primo piano sezione arricchimento (reparto flottazione ed officina) e infine al piano terra reparto bacini, raccolta acqua laveria con sbarramento in muratura.

Attorno e nelle vicinanze vi sono altre strutture deteriorate, tutte originariamente fondamentali per il funzionamento dei processi lavorativi della laveria. L’edificio era dotato di una motrice a vapore Tosi che tramite una dinamo forniva energia elettrica alla laveria stessa (illuminazione ed impianti) e ai cantieri minerari. Un luogo importante per l’archeologia industriale della Sardegna, e per la memoria del paese montano, che meriterebbe di essere valorizzato.

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 Laveria Seui 5  


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Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda