Il 4 settembre 1910, la Gairo “vecchia” dava i natali a Franco Ferrai, futuro artista e pensatore impegnato nella difesa e valorizzazione della Sardegna. Ferrai cresce fra i monti ogliastrini, luogo che porterà sempre nel cuore e che citerà nei suoi carteggi, fino a quando decide di seguire un sogno romantico. Infatti, durante la frequentazione di un corso scolastico a Nuoro, conosce e si innamora della sua futura moglie Stefania Borghesi, con la quale parte a Firenze con l’obiettivo di iscriversi all’Istituto Statale d’Arte.
Conclusi gli studi, Ferrai ha l’opportunità di insegnare in diverse parti d’Italia, principalmente fra Roma e Viterbo, e tornato a Nuoro, instaura rapporti con diversi intellettuali e artisti dell’isola. In questo periodo, a cavallo fra gli anni ’40 e ’50, l’arte di Ferrai si esprime sotto forma di dipinti che raffigurano i volti del mondo rurale dal quale egli proviene. Così Ferrai dipinge i contadini, i pastori, le persone intente a lavorare nella valle del Pardu, nido della sua Gairo che il pittore ricorda nella forma precedente alla infausta alluvione dell’ottobre del 1951. “L’alba in Ogliastra è qualcosa di straordinario, di divino!” scrive in una pagina autobiografica.
All’inizio degli anni ’50 realizza diverse esposizioni in varie città italiane, fino a ricevere l’invito per la prestigiosa Quadriennale di Roma nella quale espone le proprie opere in tre occasioni diverse, riscuotendo un discreto successo e allargando la rete di conoscenze nel mondo degli intellettuali. Fra questi crea legami con lo scrittore Giuseppe Dessì, autore di “Paese d’Ombre”, il critico d’arte e sindaco di Roma Giulio Carlo Argan, la scrittrice Maria Giacobbe, che si aggiungono a una lista di amici composta da artisti di spicco come Eugenio Tavolara e Mario Delitala. In quegli anni vince diversi premi e si confronta con tanti esponenti dell’arte, arrivando perfino a scontrarsi su una questione di metodo e d’intenti in riferimento a un mancato invito di artisti sardi alla Quadriennale del ’55 con l’artista arzanese Stanis Dessy.
Ferrai è sempre stato un attento osservatore della realtà sociale e politica della sua Sardegna, fattore che si può notare con sempre maggiore presenza nell’arte che propone dagli anni ’60 in poi. Le opere si incentrano sui problemi socioeconomici della sua terra, con riferimenti ad alcuni dei fenomeni che segnano la Sardegna di quegli anni, fra Piani di Rinascimento, emigrazione e un processo d’industrializzazione che scardina le realtà preesistenti. Con l’arrivo degli anni ’70 la politica colma sempre più la sua arte e le sue tele crescono di dimensioni e si affollano di personaggi.
Politica, storia, società, le questioni internazionali sono ispirazioni importanti e Ferrai vuole rappresentare quelle che sono anche le sue speranze, come la pace diffusa e un sentimento di solidarietà verso i meno abbienti e le collettività in difficoltà.
Possiamo comprendere meglio parte del pensiero di Ferrai, in combutta con quella visione che si andava a costruire sui sardi e sulla Sardegna al tempo ovverosia abbondante di stereotipi e povera di analisi realistica e al passo con i tempi, attraverso le parole che gli dedica lo scrittore Giuseppe Dessì: “è vero come tu dici, che contro i Sardi si è sempre pronti a scatenarsi e i fatti incresciosi e drammatici che succedono in Sardegna, sono sempre visti con una lente razzistica. Così i nostri delinquenti sono sempre un po’ più delinquenti di quelli di Milano, Roma, Genova, e le mortificazioni della nostra gente sono ignorate. Contro questa drammatica realtà della nostra terra, la voce dei sardi autentici non può tacere. La tua è una di queste, perciò ti auguro il più grande consenso”. Un dipinto emblematico della volontà di Ferrai di difendere la Sardegna è l’opera “Avanti Sardegna” del 1985, in cui una folla di sardi è “guidata” da una donna a cavallo da cui si eleva e primeggia una bandiera con i quattro mori.
È un uomo profondamente religioso e che crede fermamente nei valori concreti che evoca in più opere e nella figura di Gesù Cristo. Quest’ultimo diventa l’elemento centrale di una delle sue ultime opere, “Gesù Cristo in Sardegna” dove possiamo vederlo accompagnato da un gruppo di persone con la quale condivide una sorta di abbigliamento in pietra e che Ferrai ci spiega così: “Ho invocato, da credente, la presenza di Gesù in Sardegna, naturalmente come fratello e amico della gente bisognosa e di tutti i sardi che lottano (…) per fare della Sardegna un’isola di benessere e di pace”.
Dopo il decesso della prima moglie nel 1974, Ferrai si sposa ancora con Renata Lori e negli anni seguenti decide di donare buona parte della sua produzione artistica ai comuni di Gairo e Cardedu. In seguito, sarà proprio la moglie a donare tantissime altre opere al comune di Lanusei che ne farà un’esposizione permanente intitolandogli il museo civico.
A lui sono intitolate anche le scuole di Cardedu e la sala consiliare del comune di Gairo, inoltre ha scritto di lui nel 2006 lo studioso Tonino Loddo in una pubblicazione dal titolo “Franco Ferrai”. Nel 1986 muore presso Roma, città in cui era residente da tempo, ma nel cuore trovava sempre la terra natia e Gairo, tant’è che si può trovare facilmente in internet un video nel quale Franco Ferrai si improvvisa guida turistica e ripercorrendo luoghi e storia della Gairo vecchia, racconta con passione l’amore per il proprio paese. Perché questo è stato Franco Ferrai, un uomo con la propria terra nell’anima, elogiato da importanti pensatori e riconosciuto come uno dei più importanti artisti sardi del Novecento.
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