Jack O’Lantern ovvero Sa conca e mortu: praticamente la stessa cosa.

Vi abbiamo già parlato di come la festa anglosassone di Halloween ormai diffusa in tutto il mondo non sia per nulla estranea alla tradizione sarda, con “Is Animeddas”, “Mortu mortu” e “Su Prugadoriu”. Ebbene la tipica zucca arancione svuotata della polpa e utilizzata come lanterna trova radici molto antiche anche nell’isola.

In Barbagia, dove la festività dei defunti a cavallo tra il 30 ottobre e il 2 novembre prende il nome di “Mortu mortu”, l’intaglio della zucca era un’usanza assai comune. Quella che gli inglesi e gli americani chiamano “Jack O’Lantern” in Barbagia, e in particolare in alcuni paesi come Sorgono, Tonara e Gadoni, prende il nome di “Sa conca e mortu”, la testa del morto.

Il significato è lo stesso: la testa del morto illuminata al suo interno da una candela per esorcizzare la morte non come fine della vita, ma come momento di passaggio dalla vita terrena all’aldilà.

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Fonte: Ogliastra News La Redazione

 

Il 4 settembre 1910, la Gairo “vecchia” dava i natali a Franco Ferrai, futuro artista e pensatore impegnato nella difesa e valorizzazione della Sardegna. Ferrai cresce fra i monti ogliastrini, luogo che porterà sempre nel cuore e che citerà nei suoi carteggi, fino a quando decide di seguire un sogno romantico. Infatti, durante la frequentazione di un corso scolastico a Nuoro, conosce e si innamora della sua futura moglie Stefania Borghesi, con la quale parte a Firenze con l’obiettivo di iscriversi all’Istituto Statale d’Arte.

Conclusi gli studi, Ferrai ha l’opportunità di insegnare in diverse parti d’Italia, principalmente fra Roma e Viterbo, e tornato a Nuoro, instaura rapporti con diversi intellettuali e artisti dell’isola. In questo periodo, a cavallo fra gli anni ’40 e ’50, l’arte di Ferrai si esprime sotto forma di dipinti che raffigurano i volti del mondo rurale dal quale egli proviene. Così Ferrai dipinge i contadini, i pastori, le persone intente a lavorare nella valle del Pardu, nido della sua Gairo che il pittore ricorda nella forma precedente alla infausta alluvione dell’ottobre del 1951. “L’alba in Ogliastra è qualcosa di straordinario, di divino!” scrive in una pagina autobiografica.

All’inizio degli anni ’50 realizza diverse esposizioni in varie città italiane, fino a ricevere l’invito per la  prestigiosa Quadriennale di Roma nella quale espone le proprie opere in tre occasioni diverse, riscuotendo un discreto successo e allargando la rete di conoscenze nel mondo degli intellettuali. Fra questi crea legami con lo scrittore Giuseppe Dessì, autore di “Paese d’Ombre”, il critico d’arte e sindaco di Roma Giulio Carlo Argan, la scrittrice Maria Giacobbe, che si aggiungono a una lista di amici composta da artisti di spicco come Eugenio Tavolara e Mario Delitala. In quegli anni vince diversi premi e si confronta con tanti esponenti dell’arte, arrivando perfino a scontrarsi su una questione di metodo e d’intenti in riferimento a un mancato invito di artisti sardi alla Quadriennale del ’55 con l’artista arzanese Stanis Dessy.

Ferrai è sempre stato un attento osservatore della realtà sociale e politica della sua Sardegna, fattore che si può notare con sempre maggiore presenza nell’arte che propone dagli anni ’60 in poi. Le opere si incentrano sui problemi socioeconomici della sua terra, con riferimenti ad alcuni dei fenomeni che segnano la Sardegna di quegli anni, fra Piani di Rinascimento, emigrazione e un processo d’industrializzazione che scardina le realtà preesistenti. Con l’arrivo degli anni ’70 la politica colma sempre più la sua arte e le sue tele crescono di dimensioni e si affollano di personaggi.

Politica, storia, società, le questioni internazionali sono ispirazioni importanti e Ferrai vuole rappresentare quelle che sono anche le sue speranze, come la pace diffusa e un sentimento di solidarietà verso i meno abbienti e le collettività in difficoltà.

Possiamo comprendere meglio parte del pensiero di Ferrai, in combutta con quella visione che si andava a costruire sui sardi e sulla Sardegna al tempo ovverosia abbondante di stereotipi e povera di analisi realistica e al passo con i tempi, attraverso le parole che gli dedica lo scrittore Giuseppe Dessì: “è vero come tu dici, che contro i Sardi si è sempre pronti a scatenarsi e i fatti incresciosi e drammatici che succedono in Sardegna, sono sempre visti con una lente razzistica. Così i nostri delinquenti sono sempre un po’ più delinquenti di quelli di Milano, Roma, Genova, e le mortificazioni della nostra gente sono ignorate. Contro questa drammatica realtà della nostra terra, la voce dei sardi autentici non può tacere. La tua è una di queste, perciò ti auguro il più grande consenso”. Un dipinto emblematico della volontà di Ferrai di difendere la Sardegna è l’opera “Avanti Sardegna” del 1985, in cui una folla di sardi è “guidata” da una donna a cavallo da cui si eleva e primeggia una bandiera con i quattro mori.

È un uomo profondamente religioso e che crede fermamente nei valori concreti che evoca in più opere e nella figura di Gesù Cristo. Quest’ultimo diventa l’elemento centrale di una delle sue ultime opere, “Gesù Cristo in Sardegna” dove possiamo vederlo accompagnato da un gruppo di persone con la quale condivide una sorta di abbigliamento in pietra e che Ferrai ci spiega così: “Ho invocato, da credente, la presenza di Gesù in Sardegna, naturalmente come fratello e amico della gente bisognosa e di tutti i sardi che lottano (…) per fare della Sardegna un’isola di benessere e di pace”.

Dopo il decesso della prima moglie nel 1974, Ferrai si sposa ancora con Renata Lori e negli anni seguenti decide di donare buona parte della sua produzione artistica ai comuni di Gairo e Cardedu. In seguito, sarà proprio la moglie a donare tantissime altre opere al comune di Lanusei che ne farà un’esposizione permanente intitolandogli il museo civico.

A lui sono intitolate anche le scuole di Cardedu e la sala consiliare del comune di Gairo, inoltre ha scritto di lui nel 2006 lo studioso Tonino Loddo in una pubblicazione dal titolo “Franco Ferrai”. Nel 1986 muore presso Roma, città in cui era residente da tempo, ma nel cuore trovava sempre la terra natia e Gairo, tant’è che si può trovare facilmente in internet un video nel quale Franco Ferrai si improvvisa guida turistica e ripercorrendo luoghi e storia della Gairo vecchia, racconta con passione l’amore per il proprio paese. Perché questo è stato Franco Ferrai, un uomo con la propria terra nell’anima, elogiato da importanti pensatori e riconosciuto come uno dei più importanti artisti sardi del Novecento.

 

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Fonte: Ogliastra News Nadir Congiu

I Carabinieri della Stazione di Ottana unitamente al personale del locale Commissariato della Polizia di Stato hanno denunciato per detenzione illecita di sostanze stupefacenti o psicotrope, sei persone.

Si tratta di M.M. classe 89, originario di Sarule (NU), S.A. classe 93, residente ad Alghero, V.M. classe 2000 originario di Orgosolo (NU) ed i nuoresi F.A., classe 2002, L.M.A., classe 1971, e P.D., classe 2000, due di loro gravati da precedenti specifici.

Le forse dell’ordine, nel corso di un controllo eseguito nella zona artigianale di Ottana (NU), dopo aver notato un furgone bianco nei pressi del mattatoio comunale e la presenza delle persone denunciate, venivano attirati dal forte odore tipico della marijuana.

Esteso il controllo anche all’interno del sito, rinvenivano un ingente quantitativo di sostanze stupefacenti costituito da circa 1000 piante di marijuana appese su fili di acciaio in essicazione, 7 barili in plastica contenenti infiorescenze di marijuana appena sbocciolata, 20 barili in plastica contenenti infiorescenza di marjuana con rami ed infine 6 sacchi di plastica contenenti vegetali di scarto.

Sono tuttora in corso accertamenti finalizzati a stabilire il peso esatto e destinazione della sostanza stupefacente sequestrata.

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Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda

Durante un forte temporale, nel cuore della notte del 3 giugno 1893 a Seui nella località “Perdas Arbas”, una banda di trenta banditi attaccò un capannone ligneo.

Armati e mascherati irruppero nel riparo degli impresari Marcello e Martino Berattino, impegnati con la loro ditta Berattino-Calapaj nella costruzione di un tratto della linea ferroviaria Mandas-Arbatax. L’obiettivo erano i denari delle paghe dei lavoratori, che in quei giorni sarebbero state distribuite.

Le cronache dell’epoca riportarono la descrizione della grassazione, non mancando di criticare l’imprudenza dei due impresari – padre e figlio – di avere l’abitudine di distribuire i salari nel capannone e non in paese. Verso le nove di sera iniziano a susseguirsi i colpi di fucile dei banditi, e poco dopo uno di questi entrò dentro il baraccone. 

Martino Berattino, figlio di Marcello, fronteggiò il malintenzionato ma non riuscì a colpirlo con il proprio fucile. 

In suo aiuto accorse il giovane della vicina baracca di generi alimentari di Remo Bertelli, ma i due furono sopraffatti dal grande numero degli avventori. Il garzone fu immobilizzato e picchiato e l’impresario scaraventato nel dirupo nei pressi della vicina ferrovia.

Il giovane Berattino ripresosi dalla caduta, celato dalla notte e dalla boscaglia, iniziò a dirigersi verso il paese – distante diversi chilometri – per chiedere a aiuto.  Nel frattempo i lavoratori allertati dagli spari tentarono di aiutare gli impresari, ma furono costretti a desistere dai fucili spianati dei ladri, appostati all’imbocco della galleria.

Gli altri componenti all’interno del capannone consumarono la rapina, mentre la serva dei Berattino era costretta a guidarli e fare luce nella ricerca del denaro. Il bottino totale fu di settemila lire, oltre alla devastazione degli oggetti e degli arredi che fece pensare alla presenza, all’interno della banda, di qualche ex lavoratore licenziato.

Stessa sorte toccò alla vicina baracca di generi alimentari Bertelli, con i due lavoratori e il titolare malmenati. Il signor Bertelli “avvinghiato” ad una damigiana che nascondeva il suo denaro, fu non solo derubato di duecento lire, ma picchiato e spaventato a morte.

Infatti fu minacciato dai banditi di avere una falange amputata, se non avesse consegnato il proprio anello che portava al dito. Per sua fortuna il basso valore dell’oggetto non portò alla menomazione.

Il vecchio Marcello Berattino asserragliato in un angolo del casolare con il suo fucile Remington a dodici colpi, pronto a vendere cara la pelle, non fu percosso e la scampò illeso. Quando arrivarono i carabinieri e i barracelli dal paese, i banditi si erano già dileguati tra i sentieri in mezzo alle montagne, senza lasciare tracce. Cancellate dall’incessante pioggia di quella notte.

 

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Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda

Cristo girava con Pietro nei salti di Baunei. I due ebbero fame e appena videro un uomo che zappava il suo campo si fermarono e gli chiesero qualcosa da mangiare. “Andate avanti”, disse l’uomo, “troverete la mia casa e mia moglie vi darà da mangiare e da bere”.

Proseguirono finché trovarono la casetta e chiesero alla donna un pezzo di pane con un sorso d´acqua. “Un bicchiere d’acqua si può dare, ma il pane bisogna lavorarlo”, rispose la donna. I due si volsero per andarsene, con la bisaccia vuota sulle spalle, quando la donna esclamò: “Aspettate, vi darò qualcosa”. Raccattò un sasso e lo gettò entro la bisaccia di Pietro. Fatto un buon tratto di strada i due si fermarono e Cristo disse a Pietro: “Guarda cosa ti ha dato la donna”. Pietro ficcò la mano nella bisaccia ed esclamò: “E’ un sasso!”. “Allora sopra i sassi vivranno!”, decretò Cristo.
Infatti il paese di Baunei si trova su un territorio sassoso completamente circondato da rocce. Anche l’acqua un tempo scarseggiava a causa della maledizione di Cristo che aveva voluto colpire l´avarizia di quella donna. Ma Baunei fece di tutto per scrollarsi di dosso quella maledizione. L’occasione si presentò quando la peste distrusse il vicino villaggio di Eltili, ricco di terre fertili e di acque abbondanti. Baunei incorporò quelle terre e si appropriò di quelle acque e divenne un paese ricco.

Narra la leggenda che quando la peste si abbattè su Eltili, tanti secoli fa, tutti gli abitanti perirono. Una sola donna riuscì a sopravvivere: Maria Eltili. Con la morte dei suoi compaesani, Maria diventò padrona incontrastata del villaggio e delle terre intorno. Ma si annoiava a star sola. Non sapeva con chi parlare e desiderava vedere persone vive; era brutto abitare in un paese di morti.

Un giorno, stanca di star sola col suo cavallo, decise di recarsi al villaggio di Urzulei e di donare tutti i beni di Etili a questo paese in cambio di ospitalità. Non pretendeva molto, le bastava una casa in cui ripararsi e una capra per avere un po’ di latte tutti i giorni. Sellò il suo cavallo e si avviò in direzione di Urzulei. Lungo il percorso la donna si fermò presso un ruscello per abbeverare il cavallo e per dissetarsi.

Un pastore di Baunei che pascolava in quella zona la vide, le si accostò e le chiese dove era diretta. La donna si mise a chiacchierare con lui e raccontò la sua storia. Quando era bambina Maria fu rapita dai Mori che la portarono in Africa. Qui fu venduta ad un sultano che la tenne per tanto tempo al suo servizio. Il suo soggiorno in Africa durò 40 anni, perciò la ragazzina, diventata donna, apprese usi e costumi di quei popoli e divenne musulmana. Tanti anni dopo, in uno scambio di schiavi, fu rimandata alla sua terra. Tornò ad Eltili ove dovette imparare di nuovo la sua lingua. Vestiva in modo strano, si addobbava con gioielli curiosi, aveva dei tatuaggi ed era tanto diversa dal resto della sua gente.

Il pastore la ascoltò a lungo, nel mentre il sole tramontava, la condusse nel suo ovile ove le offrì ospitalità per la notte. Il figlio del pastore governò il suo cavallo mentre alla donna fu offerto pane di ghiande e ricotta. La mattina seguente il pastore convinse Maria Etili a recarsi a Baunei anziché a Urzulei e la fece accompagnare dal figlio perché le indicasse la strada. Quando furono in vista del paese il ragazzo tornò all´ovile e Maria si presentò al majore di Baunei. Offrì il villaggio di Eltili e tutto il suo territorio e chiese di poter restare in quel paese. Il majore le diede una casetta con orticello, un maiale, una capra e la donna si sistemò nel nuovo villaggio. Gli abitanti si meravigliavano delle sue abitudini e stavano a curiosare per vedere cosa facesse durante il giorno quella strana donna. Maria si affacciava cinque volte al giorno alla finestra della sua casetta e, guardando verso Oriente, gridava: “Allà u mamè!”.

Non riuscivano a capire quel modo di pregare, il suo comportamento sembrava a loro molto strano e la consideravano diversa. Parlava una lingua quasi incomprensibile, il sardo era frammisto a tante parole arabe, adorava Allah e tutti credevano che ad Eltili, per alleviare le pene dei moribondi, avesse fatto s’accabadora. La ritenevano molto esperta in arti magiche e si rivolgevano a lei quando dovevano sciogliere qualche incantesimo o quando avevano bisogno di scacciare gli spiriti maligni.

In Ogliastra si suppone che le misteriose parole che mormorano ancora oggi alcune fattucchiere le abbiano apprese da lei: “adonay, tarabulis, arabonas, eloyn, murgas, jerablem, dalzafios, abrox, balaim, gazal, amen”.

 

(Fonte : Leggende e racconti popolari della Sardegna, di Dolores Turchi)

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Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda

In Sardegna si registrano oggi 35 ulteriori casi confermati di positività al COVID, sulla base di 1852 persone testate. Sono stati processati in totale, fra molecolari e antigenici, 8599 test.

I pazienti ricoverati nei reparti di terapia intensiva sono 6 (uno in meno a ieri).

I pazienti ricoverati in area medica sono 43 ( 2 in meno rispetto a  ieri).

1266 sono i casi di isolamento domiciliare (7 in meno rispetto a ieri).

Non si registrano decessi.

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Fonte: Ogliastra News La Redazione

A Cheremule, piccolissimo comune del Meilogu, oggi si festeggia la nuova centenaria del paese, Tzia Antonietta Manchia.

Dopo zia Bonaria Paddeu, zia Angeledda Uras e zia Ottavia Bagiella, ecco arrivare – in un centro che conta meno di 500 abitanti – la quarta longeva, amatissima da tutta la comunità.

A festeggiare Tzia Antonietta i parenti, il sindaco di Cheremule Antonella Chessa e il parroco Davide Onida.

Ringraziamo per le foto Pierino Vargiu.

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Fonte: Ogliastra News Michela Girardi

Le celebrazioni deleddiane approdano al Senato della Repubblica. L’appuntamento con il convegno di studi intitolato “Grazia Deledda, la donna che non mise limiti alle donne” è per venerdì 29 ottobre, alle ore 10.30, presso la Sala Capitolare della Biblioteca del Senato a Roma.  

 

Interverranno Maria Elisabetta Alberti Casellati, Presidente del Senato della Repubblica, Dario Franceschini, Ministro della Cultura, Christian Solinas, Presidente della Regione Autonoma della Sardegna, Isabella Rauti, Commissione per la Biblioteca e l’Archivio storico del Senato, Costantino Tidu, Amministratore straordinario della Provincia di Nuoro, Andrea Soddu, Sindaco del Comune di Nuoro, Francesco Mola, Magnifico Rettore dell’Università di Cagliari, Gavino Mariotti, Magnifico Rettore dell’Università di Sassari, la scrittrice Angelica Grivel e l’attrice Monica Corimbi.

 

Modera il giornalista e direttore artistico del programma delle celebrazioni deleddiane Anthony Muroni.

 

Il convegno di Roma, dopo l’evento di apertura che si è svolto lo scorso 28 settembre a Nuoro, è il secondo in ordine di tempo di un ricco programma di appuntamenti messi in campo dal comitato istituzionale guidato dalla Provincia di Nuoro con la presenza del Comune di Nuoro, della Fondazione di Sardegna, dal Man e del Consorzio Universitario del Nuorese. Il programma, della durata di un anno, si caratterizza per un significativo numero di eventi e appuntamenti itineranti sia in Italia che all’estero, senza trascurare ovviamente la Sardegna che rimane il cuore pulsante delle celebrazioni.

 

150 anni di Grazia. Una donna dei nostri tempi – evidenzia Costantino Tidu, Commissario Straordinario della Provincia di Nuoro è il più importante progetto mai realizzato nella storia dell’autonomia sarda per promuovere, anche a livello internazionale, la figura di Grazia Deledda, che ancora oggi. Un programma imponente che non trascura nessun aspetto di un’autrice unica nel suo genere e che ha avuto l’indubbio pregio di aver acceso sulla Sardegna le luci della ribalta mondiale grazie a testi indimenticabili e dal forte impatto emotivo”.

 

Il direttore artistico Anthony Muroni ricorda come il convegno al Senato della Repubblica rappresenti un momento solenne per ricordare una scrittrice “che nell’Ottocento non accettava il ruolo che alla donna veniva dato, ragione per cui intraprese con coraggio la strada dell’autodeterminazione, proposta anche attraverso le figure femminili presenti nei suoi libri. Il nostro programma di eventi, lungo un anno, ha l’ambizione di portare ovunque questa grande scrittrice che ha anticipato i tempi in un percorso, quello dei diritti al femminile, che non si è ancora concluso”.

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Fonte: Ogliastra News La Redazione

Il Consiglio regionale ha approvato un emendamento presentato dal consigliere di maggioranza Francesco Mura che vieta la pesca di ricci di mare per i prossimi tre anni.

A dare la stessa notizia è il consigliere regionale di Fratelli d’Italia.

«Con l’emendamento 483 che mi vede primo firmatario il consiglio regionale blocca la pesca ai ricci di mare per tre anni – dice Francesco Mura -. È una proposta condivisa con il sistema dei pescatori professionisti che prima di tutti gli altri hanno avvertito il rischio di estinzione della specie. Il 12 febbraio scorso il gruppo Fratelli d’Italia ha presentato una PL che viene sostanzialmente inserita nella PL284 avendo così effetto immediato. I pescatori professionisti verranno coinvolti nella Pulizia dei fondali e la Sardegna avrà un mare più pulito e avrà salvato una speciale in fortissima difficoltà».

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Fonte: Ogliastra News La Redazione

26 ottobre 1946: 75 anni fa una terribile alluvione mise in ginocchio l’hinterland cagliaritano, Elmas e Sestu in particolare.

Gli anziani che vissero quella notte, passata alla memoria come “Sa notti de s’unda” (la notte dell’onda), ricordano ancora oggi l’incredibile scenario di devastazione causato dall’esondazione del Rio Matzeu. In alcuni punti, in via Sestu a Elmas per esempio, l’acqua raggiunse i 4 metri d’altezza.

L”alluvione causò la morte di 21 persone e danni ingentissimi, in particolare decine e decine di case distrutte dall’acqua. Le persone rimaste senza un tetto furono circa 900, 600 a Elmas e 300 a Sestu.

Oggi a Elmas si è svolta la cerimonia di commemorazione organizzata dalla Consulta degli anziani. Presente anche la sindaca appena eletta Maria Laura Orrù.

Nel 2012 il Comune di Sestu realizzò un piccolo documentario in cui gli anziani del paese raccontarono ciò che accadde il 26 ottobre 1946.

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Fonte: Ogliastra News La Redazione