Gli organizzatori del “Ballo dei Debuttanti”, il gruppo Progetto Idea, nel 1995 al Camping Orrì.

 

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Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda

Tutte le civiltà popolari sono ricche di detti, frasi che suonano come “sentenze” e proverbi. La Sardegna non è da meno, anzi è ricchissima di questi modi di esprimersi che racchiudono “scintille” della saggezza di un popolo. Un’importante memoria storica di modi di dire, in molti casi tramandati da padre in figlio da tempi antichi arrivati fino a noi che abbiamo l’obbligo di custodire. Possono esprimere prescrizioni o divieti, espressioni sacre o scherzose adatte ai momenti felici o a periodi di sofferenza. Esiste una parola in “Limba” capace di riassumere questi modi di dire: “Su diciu”.

Anche in Ogliastra sopravvivono tanti modi di dire ancora usati dalla collettività, un patrimonio da proteggere e preservare in un’epoca dove il “filo” della memoria rischia di essere reciso dal mancato dialogo tra le diverse generazioni.

Oggi parliamo di tre modi di dire utilizzati nella nostra zona, qualcuno dei quali diffuso anche in altre parti della Sardegna. Ovviamente in base alla parlata di ogni paese ogliastrino, la pronuncia e l’enunciato potrebbero essere diversi.

“In pedde anzena, corria lada/ In peddi agliena, corria lada”. Sul cuoio altrui si fanno corregge larghe.

Spieghiamo cosa sono le corregge: si tratta di una striscia di cuoio per legare o mantenere due pezzi dello stesso oggetto. Questo detto, legato al rispetto della proprietà, constata che sulla roba altrui si potrebbe approfittare, come nel caso del cuoio. Implicitamente ammonisce di fare l’opposto e quindi comportarsi come se il cuoio fosse il proprio, e tagliare la giusta misura.

“Chie tantas nde faghet, una nd’at a piangher”. Chi commette tante azioni sbagliate, ne piangerà qualcuna.

La persona scellerata prima o poi pagherà qualche azione malvagia, non potrà mai presumere di passarla liscia. Una sorta di monito per coloro che commettono soprusi e delitti sentendosi impuniti, ma allo stesso tempo una sorta di speranza e consolazioni per vittime e oppressi.

“A s’istrangiu non castis sa bèrtula”. A l’ospite/straniero non guardare la bisaccia.

In Sardegna l’ospitalità dai tempi antichi è considerata sacra, soprattutto nelle zone interne. La regola imponeva all’ospite di portare con se qualcosa da donare, non era un’imposizione, ma una regola che veniva rispettata. Colui che ospitava, non doveva però fare affidamento su questo dono dell’ospitato, in quanto sarebbe stata solo una gradita premura. Da qui nasce il proverbio, l’ospitante non deve mai controllare la bisaccia dello straniero o di chi gli faceva visita. C’è da dire che in casi estremi, esiste anche un altro detto, altrettanto diffuso in contrasto con quello appena menzionato: “A istranzu asciuttu sèrrali sa Janna”.

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Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda

La Nutria, Myocastor coypus, è un roditore originario del Sudamerica e delle zone temperate del Cile e dell’Argentina. Fu introdotta nel Nord America, in Asia, in Africa, in Europa occidentale e in Inghilterra, per la produzione di pellicce.
In Italia l’allevamento della Nutria per la produzione della pelliccia (castorino) ha conosciuto una vasta diffusione attorno agli anni ’70-’80.  In seguito gli allevamenti, non più redditizi, sono stati dismessi: le nutrie, fuggite dalla cattività o liberate, si sono ambientate. Ora è facile incontrarla in numerose zone umide e lungo i corsi d’acqua di molte regioni italiane: le nutrie in pochi anni hanno colonizzato tutta l’Italia.
mentre in Sardegna si è diffusa al centro e al Sud dell’Isola.

La nutria pare sia arrivata in Sardegna per iniziativa di un’azienda che cercò di mettere su un allevamento. Era il 1984: a Escalaplano un gruppo di imprenditori comprò cinque famiglie di nutrie pagandole 20milioni di vecchie lire. La ditta fornitrice si impegnò a ricomprare i cuccioli. In appena due anni, l’allevamento di Escalaplano contava ben 300 esemplari di nutrie.

Ben presto l’idea imprenditoriale naufragò mentre le nutrie rimasero. Le nutrie dell’allevamento di Escalaplano finirono sulle rive del Flumendosa. Poi dal Sarcidano all’Ogliastra, dal Cagliaritano al Medio Campidano, fino all’Oristanese e poi nel Nuorese.

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Fonte: Ogliastra News La Redazione

Lo sapevate? In Sardegna esiste una delle piante più rare del Mondo: l’Aquilegia Nuragica. Ne restano appena dieci esemplari.

È una pianta endemica della Sardegna. Il suo attuale areale è rappresentato da una superficie di soli 50 mq tra gli strapiombi del canyon di Gorroppu, nel Supramonte. La sua popolazione è ridotta a poco più di dieci individui, anche se si tratta di una stima difficilmente verificabile a causa dell’inaccessibilità del sito.

Sviluppa dai tre ai cinque fiori violacei bellissimi (ma il colore varia dal bianco al blu) ed è a serissimo rischio di estinzione. Una fortuna ce l’ha: essendo tossica non è soggetta al pascolo da parte degli erbivori.

Allo stato attuale non esistono misure di tutela a favore di questa specie, nonostante un progetto di legge in tal senso del consiglio regionale della Sardegna presentato nel 2006.

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Fonte: Ogliastra News Mario Marcis

Piccoli scolari di Baunei in una foto scattata durante l’anno scolastico 1976-77.

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Fonte: Ogliastra News Michela Girardi

Da Guasila una triste notizia: Tzia Antonia Soru, una delle centenarie sarde più amate, ci ha lasciati.

 

Aveva compiuto 106 anni.

 

Ringraziamo Pierino Vargiu per la fotografia.

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Fonte: Ogliastra News La Redazione

Alle 18:45 circa una squadra dei Vigili del Fuoco di Nuoro è intervenuta nel centro di Oliena a seguito di un incidente stradale fra due vetture.

Una Fiat punto e una Giulietta si sono scontrate in Via Nuoro in prossimità della sede dei Volontari del Soccorso 118.

Tempestivo l’intervento dei sanitari ai due occupanti che non hanno riportato gravi contusioni.

La squadra dei Vigili del Fuoco ha provveduto a mettere in sicurezza i veicoli e a ripristinare le condizioni di viabilità.

Da accertare la dinamica del sinistro. Sul Posto i Carabinieri e il servizio sanitario 118.

 

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Fonte: Ogliastra News La Redazione

Si è presentato ieri all’hub vaccinale di Biella con un braccio in silicone, pensando di ingannare gli infermieri e ottenere il Green pass senza il vaccino.

Il 57enne responsabile di questo gesto gravissimo è stato individuato e denunciato per truffa. La Asl segnalerà il caso anche in Procura.

Si tratta di un medico biellese, un odontoiatra no vax, che era stato già sospeso dall’esercizio della professione proprio per questo.

 

 

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Fonte: Ogliastra News La Redazione

Nella Gola di Gorroppu viveva una bellissima fanciulla che dimorava nella dolina di Adarre. Ben pochi erano i pastori che l’avevano vista da vicino, ma chi aveva avuto la fortuna di intravederla, anche a distanza, la descriveva di una bellezza impareggiabile. La fanciulla usciva dalla sua voragine, attraversava un passaggio segreto, e sbucava in un bosco di lecci. Qui si sedeva su uno sgabello d’oro e si metteva a dipanare la lana su un telaio anch’esso dorato.

Talvolta i pastori la vedevano in lontananza boschi e valli su un cavallo bianco, ma quando cercavano di rintracciarla non riuscivano nell’intento perchè le orme del suo cavallo segnavano una direzione diversa da quella in cui la bella signora, che tutti ritenevano una fata, era stata avvistata.

I pastori, quindi, fecero la posta per alcuni giorni e le loro speranze non furono deluse: videro la jana che, all’uscita del tunnel, girava a rovescio gli zoccoli del suo cavallo. Allora capirono perchè nessuno era mai riuscito a rintracciarla.

La fanciulla, in groppa al destriero, girava per i salti del Supramonte di Orgosolo, penetrava nell’ombrosa Gola di Gorroppu e si addentrava nella “pischina e urthaddala” che tutti credevano un pozzo senza fondo. Questo suo vagabondare aveva acceso la fantasia dei giovani e tutti avrebbero voluto vederla in volto. I più intraprendenti avevano notato che la ragazza, all’alba, non mancava mai di mostrarsi nella zona detta di S’Ascusoriu. Qui scompariva, come se la terra l’avesse inghiottita insieme al cavallo e non ricompariva se non dopo il tramonto del sole.

Quindi tutti si convinsero che la fata si nascondesse in una grotta dove celava un tesoro. I mandriani avevano sempre sentito parlare, infatti, di un immenso tesoro portato dall’Oriente e nascosto in quel luogo da un popolo che lì si era stabilito quando vennero costruiti i nuraghi. I pastori lo avevano tanto cercato ma senza risultato.

Un giorno capitò nel Supramonte un vecchio, esperto in arti magiche, che in fatto di tesori la sapeva lunga. “Se la fata della voragine di Adarre custodisce un tesoro, voi non lo troverete mai perché solo chi ha l’anima pulita può trovare un tesoro che non proviene da rapine. Servono anime innocenti, bambini. Solo loro potrebbero entrarne in possesso senza averne alcun danno” disse ai pastori.

Quando venne il bel tempo, due pastori, incuranti dello scetticismo dei compagni, portarono all’ovile del Supramonte i figli, un maschietto e una femminuccia di sette e otto anni. Fecero loro visitare la zona e chiesero loro di non temere, qualsiasi cosa vedessero. “A voi che siete innocenti nulla può fare del male. Se vedete una signora, donatele questo agnello e questo capretto e chiedetele in compenso il telaio d’oro”.

Detto ciò, i genitori si allontanarono lasciando i figli vicino alla grotta, dove si diceva che la fanciulla comparisse. I bimbi giocavano sereni con le due bestiole quando videro dinnanzi a loro il cagnolino della fata. Questo non abbaiò per tre volte come era solito fare quando qualche adulto si avvicinava ma annusò i bambini e si mise a giocare con loro. Ben presto comparve anche la Jana. I bimbi la guardarono ammirati: non avevano mai visto una signora tanto bella. Subito ricordarono le parole dei genitori e le offrirono gli animali, chiedendo in cambio il telaio d’oro.

“Il telaio non posso darvelo” rispose la fata “nelle vostre mani diventerebbe subito di legno. Ma vi darò un’altra cosa”. Scomparve per un istante, poi tornò con un recipiente colmo di monete d’oro. “Non dovete dire a nessuno chi ve le ha date” raccomandò la fata. Prese quindi con sé l’agnello e il capretto e seguita dal cagnolino, scomparve. Da allora la fata di Adarre non si fece mai più vedere da quelle parti.

A lungo i pastori ispezionarono la zona intorno alla dolina, con la speranza di scorgerla anche per un solo istante in groppa al suo cavallo o intenta a tessere, ma nessuno la vide più o sentì abbaiare tre volte il suo cagnolino.

 

Leggenda tratta dal libro di ” Leggende e racconti popolari della Sardegna”, Newton Compton editori, 1984

 

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Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda

Il Cane di Fonni noto anche come Fonnese è un antica razza canina autoctona della Sardegna conosciuta da millenni. Diffuso in varie parti dell’Isola prende il nome dal paese di Fonni dove si è conservato il nucleo più importante dalle caratteristiche originarie. Qui viene tramandato da generazione in generazione, raramente si fa dono di esemplari della razza fuori dalla comunità locale, se non qualche eccezione a fraterni amici. A Fonni in “Limba” viene chiamato “ ‘ani ‘e acàpiu ” (cane da catena o da guardia), nell’ambiente pastorale “cani fonnesuantigu” (cane fonnese antico), mentre dagli anziani dell’Isola “cani sarduantigu” e dai cacciatori “spinoni/e o spinoni/e fonnesu”.

Secondo la tradizione locale gli esemplari della razza canina presente a Fonni discenderebbero dalle famiglie Loddo e Coccollone, soprannominate rispettivamente Addai e Cussuggia. Sarebbero i discendenti dei cani selezionati dalle due famiglie, in conseguenza alla sottrazione di una cucciolata dai gelosi possessori della razza: Aggiustru, Biaceddu, Manias, Maggios, Tracathu, Othale, Vracone e Lepedda.

Il Cane Fonnese è un ottimo cane da guardia sia di proprietà che di bestiame, ma è anche particolarmente portato per la caccia. Sono numerose le fonti scritte che attestano la presenza del cane in antichità. Inoltre appare in raffigurazioni e su materiale fotografico dei viaggiatori stranieri che hanno visitato la Sardegna a cavallo del XVIII e del XIX secolo.

Erroneamente si è pensato che questa razza canina derivasse dai cani utilizzati dai Romani contro i Sardi delle zone interne.

Infatti sono molto più antiche le testimonianze in Sardegna di molossi e levrieri, dall’incrocio del quale deriverebbe il Fonnese.

Un esempio, la lastra di Craminala di San Giovanni Suergiu datata VIII secolo a.c., un graffito scolpito sull’architrave di una tomba dei giganti che raffigura un cane legato ad un carro, o le terrecotte raffiguranti molossi e levrieri di epoca cartaginese trovate nella Laguna di Santa Gilla.

Questa tesi è stata avvalorata recentemente da uno studio scientifico sul dna di esemplari di Cane Fonnese che ha dimostrato che la specie non avrebbe legami con altre razze canine italiane, ma altre in zone molto lontane dall’Isola. Questo farebbe ipotizzare che gli antenati della specie sarebbero giunti in epoca remota in Sardegna, al seguito dei primi abitanti dell’Isola, oppure avrebbero viaggiato con i primi navigatori sardi nel Mediterraneo.

Nel secolo scorso, tra i cani sardi utilizzati nella guerra italo-turca dal Regio Esercito, molti appartenevano a questa antica razza.

Anche il Cane Fonnese ha rischiato l’estinzione, solo grazie a cultori di questa specie canina in seguito divenuta un’associazione, è stato possibile scongiurare il drammatico evento e valorizzare la razza.

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Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda