Questo pomeriggio Girasole ha dato l’addio ad Adriano Balloi, scomparso dopo un tragico incidente sul lavoro.

Il sessantenne imprenditore fondatore e socio – insieme al fratello Luciano – della BMetal che si occupa di costruzioni metalmeccaniche, era inoltre un apprezzato artista.

La sua passione artistica fiorì in giovanissima età e nel tempo ha realizzato diverse opere, alcune veramente imponenti.

Sicuramente la più conosciuta è il “demone” nuragico, alto ben 20 metri e realizzato interamente in acciaio e che si staglia fiero nel cortile esterno dell’azienda.

Dentro al colosso c’è una scala di 16 metri che porta in varie stanze interne. L’artista ne ha realizzato un altro bronzetto più piccolo di “soli” 9 metri sistemato alla rotonda di Girasole dopo che è stato ospite nel piazzale multipiano di Tortolì.

Ecco le foto di alcune opere del compianto imprenditore – artista ogliastrino.

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Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda

Molte incursioni saracene della nostra isola sono legate a delle leggende.

È il caso de “Sa Nai Ammarmurada” oggi denominata “Sa Perda de S’Aquila, una particolare roccia brulla, liscia e scura, a forma di guisa di nave disalberata che si erge nei pressi della costa di Tortolì a protezione dell’insenatura di San Gemiliano.

Secondo un’antica leggenda tortoliese risalente alla fine 1800 , in origine lo scoglio non era altro che una nave saracena giunta nel litorale.

La leggenda narra che la nave corsara entrò in conflitto con un naviglio locale. I pirati fecero incursione nell’imbarcazione, saccheggiarono tutto ciò che era in essa presente, e con grande disprezzo e noncuranza, ridussero in piccoli pezzi una cassa e il suo contenuto: una statua della Madonna. Ma nello stesso istante per punizione divina, la nave si tramutò in uno scoglio. E mentre la piccola imbarcazione, ripresa a bordo la statua, si allontanava velocemente, la nave corsara, ormai tramutata in uno scoglio, venne così condannata inesorabilmente a infrangere per sempre i flutti del mare.

 

Informazioni tratte:

dal sito http://www.agugliastra.it/. Articolo scritto da Fabio Fanelli, (di Albino Lepori), il 06.12.2012;

post della pagina Facebook di Info Point Arbatax Tortolì;

archivio “La Nuova Sardegna”, articolo del 17 ottobre 2006.

Il racconto è presente in Raccolta di tradizioni sarde, Cagliari 1873 che riporta la leggenda intitolata: “La nave impietrita”.

 

Fotografia: http://www.ogliastraontheweb.it

 

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Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda

Immagine della testa di un esemplare di gipeto adulto.

Avete mai sentito parlare di “unturzu”, “àbbila ossàrja” o “gutturju ossarju”? Sono solo alcuni dei nomi in “Limba” con i quali è denominato il maestoso gipeto. Questo rapace è comunemente conosciuto come avvoltoio barbuto, molto probabilmente a causa delle particolari vibrisse che formano una sorta di “barbetta” sotto il becco.Solitamente è una specie stanziale, e nidifica sulle pareti scoscese di alcuni rilievi dell’Africa, dell’Asia e dell’Europa meridionale. È l’avvoltoio di maggiori dimensioni del continente europeo oltre ad essere uno dei più rari.

La specie risulta estinta dalla fine degli anni ’60 in Sardegna, dove l’ultima coppia nidificante è stata avvistata nel Supramonte di Orgosolo nel 1968. Tra le cause della scomparsa del gipeto l’avvelenamento e lo sterminio dell’animale a partire dai primi decenni del ‘900. Il gipeto era già scomparso all’inizio del XX secolo dalle Alpi – dove è stato reintrodotto con successo negli ultimi decenni –  vittima della persecuzione perché creduto nocivo.

Infatti l’uccello è conosciuto con il nome di avvoltoio degli agnelli, ma la denominazione è errata, in quanto non si nutre di tali animali in vita. Il fatto che sull’arco alpino la specie fosse estinta, rese gli esemplari sardi ancora più ricercati. Molti privati e musei di tutta Europa e d’oltreoceano pur di poter esibire il gipeto impagliato, pagarono ingenti somme.  All’epoca era una pratica autorizzata dallo Stato, infatti esisteva un tariffario delle diverse specie animali.

Si ha la prova che centinaia di spoglie di gipeti sardi siano state acquistate in quegli anni e siano ancora esposti in giro per il Mondo. Nel 2008 in Sardegna tre giovani esemplari dell’età di pochi mesi furono reintrodotti, fatti arrivare dall’Austria. Un progetto che coinvolse, tra i vari enti: la Regione, le Province di Nuoro e Ogliastra, e l’Ente Foreste. I giovani avvoltoi furono liberati nelle campagne di Orgosolo nel mese di maggio, quasi a riallacciare un filo con il volo dell’ultimo gipeto autoctono avvenuto quarant’anni prima.

L’ambizioso programma di ripopolamento sarebbe continuato con la reintroduzione di una coppia all’anno della stessa specie. Il progettò fallì dopo qualche mese con il ritrovamento dei tre giovani gipeti morti tra la zona del Bruncuspina e le campagne di Desulo. “Balente”, “Sandalia” e “Rosa de Monte” – questi i nomi degli avvoltoi – avevano ingerito delle esche avvelenate a a fine agosto. Rimane il dubbio se si fossero cibati di qualche carcassa di animale contaminata da una sostanza tossica destinata a loro  o ad altre specie.

Caratteristiche del gipeto.

È un necrofago, in quanto si nutre principalmente di bestie morte, ma soprattutto è specializzato nel cibarsi di ossa e del midollo di queste. Solitamente solleva l’ossame a notevoli altezze, per poi lasciarlo cadere sulle rocce per frantumare il tutto e potersene nutrire.

È un avvoltoio molto particolare, in quanto ha alcune caratteristiche morfologiche e funzionali tipiche dei rapaci predatori. Basti pensare agli artigli di cui è dotato, più adatti al trasporto della preda e non specializzati per la necrofagia. Oppure osservando l’aspetto del corpo più slanciato rispetto agli avvoltoi, che in volo gli conferisce le sembianze di un grande falco.

Il significato del nome stesso – dal greco gyps (avvoltoio) e aetos (aquila) – colloca questa specie in una posizione intermedia fra l’aquila e l’avvoltoio. L’esemplare adulto può raggiungere la lunghezza del corpo tra i 110-120 cm, di cui un terzo la sola coda. Mentre l’apertura alare è compresa fra i 260-300 cm ed il peso tra i 5-8 kg. Dimensioni che vengono raggiunte indifferentemente dagli esemplari di entrambi i sessi.

Il gipeto ha un colore del piumaggio in contrasto tra la parte ventrale e la testa, che si presentano chiare, e la parte dorsale e le ali, invece scure. Gli esemplari giovani invece sono completamente scuri, tranne le penne del dorso che possono avere apici biancastri.La specie raggiunge la maturità sessuale intorno i 6–7 anni di età, hanno una longevità in natura compresa fra i 20–25 anni, mentre raggiungono i 40 in cattività.

La coppia è monogama ed occupa un territorio che può arrivare a 300 km2 di estensione. Spettacolare la parata nuziale, a cui segue un lungo periodo di frequentazione del nido che da autunno dura fino al primo volo dei giovani esemplari. La dieta del gipeto oltre le ossa comprenderebbe anche le tartarughe. Secondo un racconto, fu proprio tale rettile lasciato cadere dall’alto dall’avvoltoio ad uccidere il poeta Eschilo, colpendolo alla testa.

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Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda

Una grave distrazione ha provocato un incendio all’interno di un appartamento nel centro abitato di Nuoro.

Alle 12:45 circa due squadre dei Vigili del Fuoco di Nuoro, con il Funzionario di servizio, sono intervenute in Via Siena a seguito di un incendio che ha interessato i locali cucina di una abitazione.

Le cause sono da imputare ad un pentolino lasciato sulla cucina incustodito, che surriscaldandosi ha propagato le fiamme ai pensili e agli arredi del vano.

Prontamente intervenuti sul posto gli uomini del 115 hanno estinto le fiamme e bonificato gli arredi interessati dal rogo. Non si segnalano danni strutturali o a persone.

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Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda

Tanto tempo è passato quando due giovani ogliastrini, richiamati alle armi, strappati alla loro terra e alla vita che conducevano nei loro paesi, si trovarono a marciare sulle sabbie del Corno d’Africa per combattere una guerra voluta dalla politica coloniale dell’epoca.

Era la mattina del 26 gennaio del 1887, quando Efisio Luigi Cannas di Seui e Battista Imprugas di Triei, facendo parte dell’11° Compagnia del 15° Regimento Fanteria – posizionata all’avanguardia della Colonna del 3° Battaglione d’Africa guidata dal tenente colonnello Tommaso De Cristoforis –, si dirigevano verso il Presidio di Saati assediato da 20000 Abissini, per portare soccorso e rifornimenti.

Un totale di 540 uomini aveva lasciato all’alba il forte di Moncullo, ma qualche ora più tardi, nella zona di Dogali, a 20 Km da Massaua, venne attaccato da 7000 guerrieri guidati dal ras Alula Engida, che aveva desistito dall’assaltare il forte di Saati per attaccare la colonna in movimento.

I soldati italiani, posizionatosi in formazione di combattimento nelle colline presenti nel luogo, risposero strenuamente agli attacchi, nonostante la superiorità delle forze indigene nemiche, ma, traditi dalle vecchie mitragliatrici in dotazione e dalla fine delle munizioni, ben presto soccombettero, massacrati.

Il bilancio, di 80 superstiti circa, presenta la drammaticità della battaglia, nella quale perse la vita anche De Cristoforis e quasi tutti gli ufficiali. L’opinione pubblica, all’epoca, fu talmente scossa dall’eccidio da mettere il Governo sotto accusa, e costringere il Presidente del Consiglio Agostino Depretis a dimettersi.

Ma cosa ne fu dei due ogliastrini Cannas e Imprugas?

Entrambi, miracolosamente, finirono tra i pochi sopravvissuti. Efisio Luigi Cannas, gravemente ferito, subì un atroce mutilazione. Venne creduto morto e fu evirato, la stessa sorte che toccò a molti altri soldati caduti quel giorno Dogali. Fu ritrovato per caso qualche giorno dopo, agonizzante, da una pattuglia di soldati italiani, a cui era stato ordinato di raccoglier i morti.

Portato all’ospedale di Massaua, dopo un lungo periodo di incoscienza, quando si riprese, rendendosi conto della mutilazione subita, per giorni si augurò che sopraggiungesse la morte. Invece il destino riservò una lunga vita a Cannas: lui, classe 1863, morì alla fine del 1954, a 91 anni, ultimo dei reduci di quella sanguinosa battaglia. Ritornato a Seui, e ripreso il suo lavoro di macellaio, intraprese anche l’attività di venditore di bestiame e di pelli. Rispettato e ben voluto dai suoi compaesani, è stato uno dei fondatori della Festa della Madonna del Carmelo: a lui si deve la presenza nel cocchio – che ogni anno porta il simulacro della Santa da Seui alla località di Arcuerì – anche della statua di Sant’Efisio, al quale era devoto e che aveva invocato in quei terribili momenti nella battaglia di Dogali. Era stato proprio il Santo a donargli la forza per andare avanti nonostante la menomazione.

Battista Imprugas, classe 1865, uno degli ultimi a rimanere in piedi a Dogali, in mezzo alla mischia armato di baionetta, cadde ferito dopo numerosi corpo a corpo. Creduto morto, fu trascinato per vari metri per terra, e abbandonato. Quando vide allontanarsi i guerrieri etiopici, si trascinò tra gli arbusti, evitando gli scempi subiti dai cadaveri dei soldati caduti in battaglia. Una volta allontanatosi, si mise in marcia verso il forte di Moncullo, dove arrivò dopo più di un giorno. Una volta superate le ferite riportate, anche se perse un occhio nei combattimenti, fece ritorno a Triei, dove mise su famiglia, ed ebbe una figlia. Ma nel 1893, mentre svolgeva il suo lavoro da Precettore Postale, nelle vicinanze del paese, fu vittima di un agguato. Ferito gravemente alla trachea, e recisagli la giugulare dai colpi d’arma da fuoco, morì qualche ora dopo, non prima di svelare il nome di chi l’aveva sparato, ai primi soccorritori.

A Roma nel 1889 fu dedicata una piazza agli eroi di Dogali, Piazza dei Cinquecento, nei pressi della Stazione Termini. Fu innalzato un monumento, con alla base una lastra con nomi di tutti i soldati che parteciparono alla battaglia, e sopra di essa un obelisco egizio di Ramsete II.

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Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda

Non ce l’ha fatta Adriano Balloi, l’uomo di 61 anni rimasto intrappolato sotto un escavatore nelle campagne di Girasole.

L’imprenditore è morto oggi all’ospedale Brotzu di Cagliari, dove era stato trasportato d’urgenza.

Insieme al fratello, con cui aveva fondato un’azienda di metalmeccanica, era molto conosciuto tra Girasole e Tortolì.

Celebre il bronzetto di ferro alto 18 metri da lui realizzato e posizionato davanti ai cantieri nautici della B Metal a Tortolì-Arbatax.

L’INCIDENTE

Intorno alle ore 10:30 di questa mattina, la squadra dei Vigili del Fuoco di Tortolì è intervenuta per un soccorso in Via Pirastu.

Balloi è rimasto coinvolto in un incidente mentre operava con un piccolo mezzo per movimento terra, che lo ha travolto vincolandolo con le gambe bloccate dai cingoli.

Dalle prime indicazioni fornite dai familiari presenti sul posto, l’incidente potrebbe risalire al pomeriggio di ieri e solo oggi dopo alcune ricerche è stato rinvenuto nel terreno dove operava con il mezzo.

Oltre ai vigili del Fuoco è intervenuto il servizio sanitario 118 con l’elisoccorso che ha provveduto ad stabilizzare l’uomo e a trasportarlo in codice rosso all’Ospedale Brotzu di Cagliari.

Il motore del mezzo, rimasto acceso, ha fornito l’indispensabile calore per poter trascorrere tutta la notte all’addiaccio nonostante le rigide temperature. Le ferite riportate però sono risultate troppo gravi e il suo cuore ha smesso di battere dopo le cure tentate dai medici.

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Fonte: Ogliastra News Mario Marcis

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Singolare intervento della squadra speleo-alpino-fluviale dei Vigili del Fuoco di Nuoro.

Nella Mattinata odierna, gli operatori del 115 sono intervenuti in località “Fruncu Nigheddu” nel supramonte di Oliena per soccorrere una femmina di segugio maremmano di 6 anni. “Gadduresa“, questo è il nome del povero animale che si era disperso nel “Corrasi” da domenica scorsa, ove impegnato in una battuta di caccia ha seguito la preda nelle scoscese pietraie, fino a perdere l’orientamento: sfinito.

Segnalato dal suo proprietario nelle impervia località, è stato raggiunto dai soccorritori elitrasportati dal Drago 143 del reparto Volo VVF di Alghero.

Al termine delle operazioni di recupero è stato riconsegnato al proprietario che lo cercava invano da alcuni giorni.

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Fonte: Ogliastra News Mario Marcis

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Dalle 17:50 la squadra dei Vigili del Fuoco di Macomer sta intervenendo sulla S.P. 26, Borore-Sedilo, al Km 9 per incidente stradale.

Sul posto i soccorritori hanno estricato dalla vettura una coppia di nazionalità marocchina che si è scontrata violentemente con un cavallo vagante sulla carreggiata stradale.

Grave il bilancio dello scontro per la coppia, che è stata soccorsa dal servizio sanitario 118 con due ambulanze a seguito delle gravi contusioni riportate.

Il povero animale, dopo lo scontro è rimasto esanime al suolo. Sul posto sono presenti i Carabinieri di Ghilarza. Intervento ancora in atto.

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Fonte: Ogliastra News Mario Marcis

Progettazione culturale e valorizzazione dei beni culturali: qual è la situazione nella Isola? Quali i punti di luce e quali le ombre?

La riflessione di Giuditta Sireus, manager culturale di Villacidro. 

«È verità universalmente riconosciuta che la Sardegna in fatto di Cultura abbia quasi sempre necessità di guardare il giardino del vicino di casa. Questo accade perché si tenta di tracciare i confini del proprio senza prima comprendere le qualità del terreno dove questo sorgerà e le sue peculiarità, se ve ne sono, considerando quali piante o alberi attecchiranno meglio o prima o dopo, ma soprattutto riconoscendo le reali attitudini di colui che vuole esserlo a ricoprire il ruolo di giardiniere o agricoltore.

Perché studiare, analizzare o recuperare tecniche vincenti altrove non è peccato, ma lo è non avere le capacità critiche e le competenze per applicarle rischiando di vanificare risorse, energie, tempi.

La cultura in Sardegna è un tema difficile da sviscerare. Il motivo sta nel fatto che abbiamo necessità di compiere un passo decisivo che non compiamo mai: quello di studiarci, di riflettere su noi stessi e capire in quale senso vogliamo procedere, progettando idee e iniziative che non sono solo un qui e ora bislacco e fulmineo che non lascia nulla del proprio passaggio, ma creando rete, benessere, impatti sociali, comportamenti ecosostenibili, rinnovamenti veri e propri all’interno delle comunità e a lungo termine.

Stentiamo ancora oggi a riconoscerne il valore e il suo essere settore di mercato, relegando la Cultura talvolta a mero passatempo o solo ed esclusivo volontariato, oppure un’opportunità offerta da un bando, dal favore concesso o dall’accesso a un finanziamento che porta alla sola preoccupazione di un fare per ottenere. L’assenza di un organo di verifica dei risultati raggiunti, della qualità delle manifestazioni e dei benefici realmente ottenuti, incentiva chiunque ad attuare qualcosa. L’importante è che si faccia. L’importante è che si spenda.

Probabilmente discorsi già letti o ascoltati, ma che non abbiamo ancora interiorizzato, perché la strada è ancora da costruire.

Immagino che, giunti a questo punto, sarete pronti a controbattere a quanto sopra detto e a snocciolare casi di buoni progetti. Sono certa che mi elencherete esempi di iniziative bellissime e riuscitissime, ma di breve e medio termine, soprattutto breve. Perché dunque si desiste dal ragionare in maniera progressiva e continuata? Gli effetti della cultura sono temporanei e stagionali? È meglio assaggiare la Cultura piuttosto che assaporarla lentamente, potendone godere di ogni suo beneficio? E perché la Cultura diviene strumento prioritario in politica solo in campagna elettorale e mai nell’attuazione delle linee programmatiche?

La cultura è invisibile, la cultura non ripaga quanto una strada asfaltata o quanto la realizzazione dell’ennesimo contenitore di bellezza che poi non tiene conto del suo contenuto tantomeno di chi quel contenitore e quel contenuto dovrebbe gestirli con professionalità. Il motivo è che noi non siamo pronti alla bellezza, non sappiamo leggerne l’utilità e comprendere che da essa si generano il futuro e la consapevolezza del mondo. E se pensiamo che, comunque sia, questa ci possa restituire qualcosa di buono, non concepiamo che asservendola alle nostre ipocrite ambizioni, ai nostri patetici egoismi, la deturpiamo del suo donare per natura. È il ribaltamento dei valori dove non siamo più noi al servizio della Cultura ma è la Cultura a servizio nostro.

Come farla dunque? Come promuoverla? Liberandola dalle catene degli interessi torbidi che non producono né bello, né buono e nemmeno il giusto.

Giustizia. Così l’oracolo di Delfi rispose alla domanda “che cos’è bello?”: Il più giusto è il più bello. Ma noi siamo ben lontani dal concetto di giustizia considerando che ci affidiamo alla spartizione “meritocratica” dei contributi pubblici con un click più veloce. E non solo! Servirebbe conoscenza derivata da studi, preparazione, formazione ed esperienza, requisiti ben lontani dalla maggior parte di coloro che organizzano oggi eventi o fanno promozione culturale. E tutti possono fare cultura? La possono fare tutti nella misura in cui tutti possono concepire, nei loro limiti, idee e propositi. Giustizia e meritocrazia devono muovere allo stesso modo chi produce cultura. Concepire la figura del professionista della cultura come una realtà possibile e non un alieno dovrebbe quindi essere un pensiero che si fa concretezza.

Non cedere alla succulenta opportunità di poter ottenere definizioni quali quella di “direttore artistico” per autocelebrarsi, ottenere visibilità senza un’opportuna autovalutazione del chi si è, del che cosa si è fatto, del che cosa si è studiato e della capacità di poter
ricoprire un tale incarico. Anche l’arte ha le sue regole. Non è un gioco. E sarebbe tempo di dare spazio finalmente alle maestranze
della cultura che sanno valorizzare e rispondere ai bisogni, ne conoscono i principi e farsi guidare da queste quale passo essenziale per una prima e vera rivoluzione del settore».

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Fonte: Ogliastra News Michela Girardi

Correva l’anno 1934 a Tortolì, quando venne disputata la prima partita di calcio documentata del centro ogliastrino.

L’Italia nel maggio dello stesso anno aveva appena conquistato il primo Mondiale della propria storia, con gli Azzurri vittoriosi a Roma, grazie ai goal di Orsi e Schiavio per 2-1 contro la Cecoslovacchia – in rete con Puč -.

Non sappiamo se la vittoria della squadra di Vittorio Pozzo, ispirò questa prima gara che fu organizzata nel campo sportivo dietro Fra Locci, con il Tortolì che affrontava una formazione di Lanusei.

All’evento accorse gran parte della popolazione della città – come riportano le cronache dell’epoca – per supportare i propri concittadini.

A scendere in campo per i padroni di casa: Raimondo Pilia – tra i pali -, Nicola Zuddas e Dario Mereu – terzini -, Erminio Cuccu, Nino Nonnis e Pinuccio Racugno – mediani -, Saverio Nonnis, Sestilio Mereu, Paolino Scorcu, Mura e Enrico Pirastu – attaccanti -.

Per il Lanusei: Manfredo Atzori – portiere -, Antonio Cabras e Nino De Rosas – terzini -, Antonio Angius e Micheli – mediani -, Carmine Sanna e Piero Nonnoi – ali – e Giovanni Atzori -attaccante centrale -.  A completare l’undici che scese in campo per gli ospiti, furono scelti tre ragazzi tra gli studenti dell’Istituto dei Salesiani.

Il risultato finale della storica gara fu di 2-2, con le reti per il Tortolì realizzate da Nino Nonnis – su calcio di rigore – e di Mura – un marinaio in servizio di leva ad Arbatax -. Non siamo riusciti a risalire ai marcatori lanuseini.

Sulla partita Virgilio Nonnis, nel suo libro “Storia e Storie di Tortolì”, svela un aneddoto. Infatti uno dei due goal degli ospiti sarebbe stato propiziato dall’estrmo difensore tortoliese Pilia, con un intervento non all’altezza della sua fama di buon portiere secondo alcuni testimoni dell’epoca. Infatti il signor Secondo Porrà seduto dietro la porta dei padroni di casa – su una sedia portata da casa – avrebbe affermato lapidario: “Germà, non balis nemancu mesu petza de mortadella” – Germano – termine usato all’epoca in tono amichevole in tortoliese o forse erano cugini – non vali neanche un mezzo fetta di mortadella”.

Come afferma lo stesso Nonnis, il portiere Pilia fu danneggiato dalle ginocchiere strette con dello solido spago che ne limitarono il movimento inficiandone la prestazione. Insomma la dotazione dell’attrezzatura tecnica dell’epoca non era il massimo. Basti pensare che anche il campo era stato realizzato con la farina.

Ringraziamo Massimo R. Mulas, per le informazioni sulla prima partita di calcio del 1934 e per averci concesso una foto di una formazione del Tortolì del 1935.

 

 

 

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Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda