Manca solo il riscontro del dna, ma il corpo ritrovato ieri nel Supramonte di Baunei appartiene, quasi senza ombra di dubbio, a Claudio Aresu, il 46enne cagliaritano scomparso il 23 agosto scorso.

Una notizia tristissima che ha scosso la comunità di Baunei.

«Abbiamo sperato fino all’ultimo che Claudio tornasse tra i suoi cari – scrive in un post l’amministrazione comunale di Baunei -. Purtroppo ieri abbiamo appreso del triste epilogo della sua vita. Porgiamo il nostro messaggio di vicinanza e le più sentite condoglianze alla famiglia Aresu e ai suoi cari. Che la terra ti sia lieve, Claudio».

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Fonte: Ogliastra News Mario Marcis

Graziano Mesina, noto esponente del banditismo sardo, è stato arrestato ieri a Desulo. Era latitante da luglio 2020.

Ora la sua vita potrebbe diventare una serie tv. La prima stagione intitolata “Bandidu” è stata scritta e ideata da Matteo Martinez, Giulia Magda Martinez e Barbara Alberti e sarà prodotta da Kavac film e Tenderstories.

«Stiamo lavorando a questo progetto importante da mesi, la serie ripercorrerà la vita di uno dei latitanti più ricercati della storia in Italia. Le riprese dei dodici episodi inizieranno nella seconda metà del 2022 tra la Sardegna e Milano». Lo dicono i produttori Moreno Zani e Malcom Pagani di Tenderstories e Simone Gattoni di Kavac film.

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Fonte: Ogliastra News Mario Marcis

Lo sapevate? Le colonne del Pantheon di Roma sono state fatte con il granito delle cave sarde.

ll Pantheon è un edificio della Roma antica che si trova nel rione Pigna nel centro storico della città, ed è un tempio dedicato a tutte le divinità passate, presenti e future. Fu fondato nel 27 a.C. da Marco Vipsanio Agrippa, genero di Augusto. Fu fatto ricostruire dall’imperatore Adriano tra il 120 e il 124 d.C., dopo che gli incendi dell’80 e del 110 d.C. avevano danneggiato la costruzione precedente di età augustea.

Il marmo utilizzato per le colonne proviene da Capo Testa, una piccola penisola (in realtà un’isola, poi artificialmente collegata alla terraferma) che si trova nel nord della Sardegna, nel territorio di Santa Teresa di Gallura.

Si affaccia sulle Bocche di Bonifacio davanti alla Corsica ed è collegata alla terraferma da uno stretto istmo, lungo il quale si estendono due spiagge. Il promontorio è costituito dalle tipiche rocce granitiche galluresi erose dal vento.

I Romani frequentarono Capo Testa in due tempi: una prima fase compresa tra il I secolo a.C. e il I d.C. e una seconda, in età imperiale avanzata, tra il II e il IV secolo.

L’attività estrattiva e lavorativa del granito avveniva lungo il litorale, quanto più vicino all’acqua in modo da poter caricare i manufatti sulle navi. Sono ancora chiaramente visibili i tagli “a gradoni” nelle scogliere e si trovano, sparsi, enormi massi semilavorati, tra questi alcuni abbozzi di colonne.

Le cave di Capo Testa furono sfruttate anche in epoca medioevale: lì furono estratte le colonne che servirono per la costruzione del Duomo e del Battistero di Pisa.

Il Pantheon romano è composto da una struttura circolare unita a un portico in colonne corinzie (otto frontali e due gruppi di quattro in seconda e terza fila) che sorreggono un frontone.

La grande cella circolare, detta rotonda, è cinta da spesse pareti in muratura e da otto grandi piloni su cui è ripartito il peso della grande cupola emisferica in calcestruzzo che ospita al suo apice un’apertura circolare detta oculo, per l’illuminazione dell’ambiente interno. A quasi due millenni dalla sua costruzione, la cupola del Pantheon è ancora oggi una delle cupole più grandi del mondo.

Il pronao è formato da 16 colonne, 8 colonne di granito grigio in facciata e 8 colonne di granito rosa provenienti dalle cave di Mons Claudianus e di Assuan (Egitto), distribuite nelle due file retrostanti.

All’inizio del VII secolo il Pantheon è stato convertito in basilica cristiana chiamata Santa Maria della Rotonda o Santa Maria ad Martyres: questo gli ha consentito di sopravvivere quasi integro alle spoliazioni inflitte dai papi agli edifici della Roma classica. Gli abitanti di Roma lo chiamavano popolarmente la Rotonna (“la Rotonda”).

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Fonte: Ogliastra News Mario Marcis

Macabra scoperta nelle montagne di Baunei.

Intorno a mezzogiorno due escursionisti hanno trovato un cadavere nei sentieri tra Cala Goloritzé e Cala Mariolu, in località “bruncu e pisu”.

Sul posto si sono recati subito i Carabinieri, gli uomini del Soccorso Alpino e i Vigili del fuoco.

Alcuni elementi riscontrati sul posto sono stati ricondotti oggettivamente a Claudio Aresu, 46enne cagliaritano scomparso il 23 agosto scorso durante un trekking, ma saranno gli esami del Dna disposti dalla Procura di Lanusei a dare la certezza sull’identità della vittima.

 

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Fonte: Ogliastra News Mario Marcis

Trapelano le prime parole di Graziano Mesina dopo l’arresto, avvenuta questa notte in un’abitazione di Desulo.

“Ho già fatto troppa galera, oltre 45 anni. E l’idea di tornare lì dentro per morirci, mi spaventava”, queste le motivazioni dell’orgolese – come svelato dalle legali, Beatrice Goddi e Maria Lusia Vernier, all’Ansa – che l’hanno spinto all’ennesima fuga, dopo la condanna arrivata nel luglio del 2020.

Goddi e Venier inoltre hanno spiegato di “averlo trovato dimagrito e psicologicamente provato, ma curato nell’aspetto e sempre combattivo”.

Ora Mesina è in attesa della comunicazione per l’udienza di convalida dal tribunale di competenza.

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Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda

Questo pomeriggio Girasole ha dato l’addio ad Adriano Balloi, scomparso dopo un tragico incidente sul lavoro.

Il sessantenne imprenditore fondatore e socio – insieme al fratello Luciano – della BMetal che si occupa di costruzioni metalmeccaniche, era inoltre un apprezzato artista.

La sua passione artistica fiorì in giovanissima età e nel tempo ha realizzato diverse opere, alcune veramente imponenti.

Sicuramente la più conosciuta è il “demone” nuragico, alto ben 20 metri e realizzato interamente in acciaio e che si staglia fiero nel cortile esterno dell’azienda.

Dentro al colosso c’è una scala di 16 metri che porta in varie stanze interne. L’artista ne ha realizzato un altro bronzetto più piccolo di “soli” 9 metri sistemato alla rotonda di Girasole dopo che è stato ospite nel piazzale multipiano di Tortolì.

Ecco le foto di alcune opere del compianto imprenditore – artista ogliastrino.

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Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda

Molte incursioni saracene della nostra isola sono legate a delle leggende.

È il caso de “Sa Nai Ammarmurada” oggi denominata “Sa Perda de S’Aquila, una particolare roccia brulla, liscia e scura, a forma di guisa di nave disalberata che si erge nei pressi della costa di Tortolì a protezione dell’insenatura di San Gemiliano.

Secondo un’antica leggenda tortoliese risalente alla fine 1800 , in origine lo scoglio non era altro che una nave saracena giunta nel litorale.

La leggenda narra che la nave corsara entrò in conflitto con un naviglio locale. I pirati fecero incursione nell’imbarcazione, saccheggiarono tutto ciò che era in essa presente, e con grande disprezzo e noncuranza, ridussero in piccoli pezzi una cassa e il suo contenuto: una statua della Madonna. Ma nello stesso istante per punizione divina, la nave si tramutò in uno scoglio. E mentre la piccola imbarcazione, ripresa a bordo la statua, si allontanava velocemente, la nave corsara, ormai tramutata in uno scoglio, venne così condannata inesorabilmente a infrangere per sempre i flutti del mare.

 

Informazioni tratte:

dal sito http://www.agugliastra.it/. Articolo scritto da Fabio Fanelli, (di Albino Lepori), il 06.12.2012;

post della pagina Facebook di Info Point Arbatax Tortolì;

archivio “La Nuova Sardegna”, articolo del 17 ottobre 2006.

Il racconto è presente in Raccolta di tradizioni sarde, Cagliari 1873 che riporta la leggenda intitolata: “La nave impietrita”.

 

Fotografia: http://www.ogliastraontheweb.it

 

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Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda

Immagine della testa di un esemplare di gipeto adulto.

Avete mai sentito parlare di “unturzu”, “àbbila ossàrja” o “gutturju ossarju”? Sono solo alcuni dei nomi in “Limba” con i quali è denominato il maestoso gipeto. Questo rapace è comunemente conosciuto come avvoltoio barbuto, molto probabilmente a causa delle particolari vibrisse che formano una sorta di “barbetta” sotto il becco.Solitamente è una specie stanziale, e nidifica sulle pareti scoscese di alcuni rilievi dell’Africa, dell’Asia e dell’Europa meridionale. È l’avvoltoio di maggiori dimensioni del continente europeo oltre ad essere uno dei più rari.

La specie risulta estinta dalla fine degli anni ’60 in Sardegna, dove l’ultima coppia nidificante è stata avvistata nel Supramonte di Orgosolo nel 1968. Tra le cause della scomparsa del gipeto l’avvelenamento e lo sterminio dell’animale a partire dai primi decenni del ‘900. Il gipeto era già scomparso all’inizio del XX secolo dalle Alpi – dove è stato reintrodotto con successo negli ultimi decenni –  vittima della persecuzione perché creduto nocivo.

Infatti l’uccello è conosciuto con il nome di avvoltoio degli agnelli, ma la denominazione è errata, in quanto non si nutre di tali animali in vita. Il fatto che sull’arco alpino la specie fosse estinta, rese gli esemplari sardi ancora più ricercati. Molti privati e musei di tutta Europa e d’oltreoceano pur di poter esibire il gipeto impagliato, pagarono ingenti somme.  All’epoca era una pratica autorizzata dallo Stato, infatti esisteva un tariffario delle diverse specie animali.

Si ha la prova che centinaia di spoglie di gipeti sardi siano state acquistate in quegli anni e siano ancora esposti in giro per il Mondo. Nel 2008 in Sardegna tre giovani esemplari dell’età di pochi mesi furono reintrodotti, fatti arrivare dall’Austria. Un progetto che coinvolse, tra i vari enti: la Regione, le Province di Nuoro e Ogliastra, e l’Ente Foreste. I giovani avvoltoi furono liberati nelle campagne di Orgosolo nel mese di maggio, quasi a riallacciare un filo con il volo dell’ultimo gipeto autoctono avvenuto quarant’anni prima.

L’ambizioso programma di ripopolamento sarebbe continuato con la reintroduzione di una coppia all’anno della stessa specie. Il progettò fallì dopo qualche mese con il ritrovamento dei tre giovani gipeti morti tra la zona del Bruncuspina e le campagne di Desulo. “Balente”, “Sandalia” e “Rosa de Monte” – questi i nomi degli avvoltoi – avevano ingerito delle esche avvelenate a a fine agosto. Rimane il dubbio se si fossero cibati di qualche carcassa di animale contaminata da una sostanza tossica destinata a loro  o ad altre specie.

Caratteristiche del gipeto.

È un necrofago, in quanto si nutre principalmente di bestie morte, ma soprattutto è specializzato nel cibarsi di ossa e del midollo di queste. Solitamente solleva l’ossame a notevoli altezze, per poi lasciarlo cadere sulle rocce per frantumare il tutto e potersene nutrire.

È un avvoltoio molto particolare, in quanto ha alcune caratteristiche morfologiche e funzionali tipiche dei rapaci predatori. Basti pensare agli artigli di cui è dotato, più adatti al trasporto della preda e non specializzati per la necrofagia. Oppure osservando l’aspetto del corpo più slanciato rispetto agli avvoltoi, che in volo gli conferisce le sembianze di un grande falco.

Il significato del nome stesso – dal greco gyps (avvoltoio) e aetos (aquila) – colloca questa specie in una posizione intermedia fra l’aquila e l’avvoltoio. L’esemplare adulto può raggiungere la lunghezza del corpo tra i 110-120 cm, di cui un terzo la sola coda. Mentre l’apertura alare è compresa fra i 260-300 cm ed il peso tra i 5-8 kg. Dimensioni che vengono raggiunte indifferentemente dagli esemplari di entrambi i sessi.

Il gipeto ha un colore del piumaggio in contrasto tra la parte ventrale e la testa, che si presentano chiare, e la parte dorsale e le ali, invece scure. Gli esemplari giovani invece sono completamente scuri, tranne le penne del dorso che possono avere apici biancastri.La specie raggiunge la maturità sessuale intorno i 6–7 anni di età, hanno una longevità in natura compresa fra i 20–25 anni, mentre raggiungono i 40 in cattività.

La coppia è monogama ed occupa un territorio che può arrivare a 300 km2 di estensione. Spettacolare la parata nuziale, a cui segue un lungo periodo di frequentazione del nido che da autunno dura fino al primo volo dei giovani esemplari. La dieta del gipeto oltre le ossa comprenderebbe anche le tartarughe. Secondo un racconto, fu proprio tale rettile lasciato cadere dall’alto dall’avvoltoio ad uccidere il poeta Eschilo, colpendolo alla testa.

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Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda

Una grave distrazione ha provocato un incendio all’interno di un appartamento nel centro abitato di Nuoro.

Alle 12:45 circa due squadre dei Vigili del Fuoco di Nuoro, con il Funzionario di servizio, sono intervenute in Via Siena a seguito di un incendio che ha interessato i locali cucina di una abitazione.

Le cause sono da imputare ad un pentolino lasciato sulla cucina incustodito, che surriscaldandosi ha propagato le fiamme ai pensili e agli arredi del vano.

Prontamente intervenuti sul posto gli uomini del 115 hanno estinto le fiamme e bonificato gli arredi interessati dal rogo. Non si segnalano danni strutturali o a persone.

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Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda

Tanto tempo è passato quando due giovani ogliastrini, richiamati alle armi, strappati alla loro terra e alla vita che conducevano nei loro paesi, si trovarono a marciare sulle sabbie del Corno d’Africa per combattere una guerra voluta dalla politica coloniale dell’epoca.

Era la mattina del 26 gennaio del 1887, quando Efisio Luigi Cannas di Seui e Battista Imprugas di Triei, facendo parte dell’11° Compagnia del 15° Regimento Fanteria – posizionata all’avanguardia della Colonna del 3° Battaglione d’Africa guidata dal tenente colonnello Tommaso De Cristoforis –, si dirigevano verso il Presidio di Saati assediato da 20000 Abissini, per portare soccorso e rifornimenti.

Un totale di 540 uomini aveva lasciato all’alba il forte di Moncullo, ma qualche ora più tardi, nella zona di Dogali, a 20 Km da Massaua, venne attaccato da 7000 guerrieri guidati dal ras Alula Engida, che aveva desistito dall’assaltare il forte di Saati per attaccare la colonna in movimento.

I soldati italiani, posizionatosi in formazione di combattimento nelle colline presenti nel luogo, risposero strenuamente agli attacchi, nonostante la superiorità delle forze indigene nemiche, ma, traditi dalle vecchie mitragliatrici in dotazione e dalla fine delle munizioni, ben presto soccombettero, massacrati.

Il bilancio, di 80 superstiti circa, presenta la drammaticità della battaglia, nella quale perse la vita anche De Cristoforis e quasi tutti gli ufficiali. L’opinione pubblica, all’epoca, fu talmente scossa dall’eccidio da mettere il Governo sotto accusa, e costringere il Presidente del Consiglio Agostino Depretis a dimettersi.

Ma cosa ne fu dei due ogliastrini Cannas e Imprugas?

Entrambi, miracolosamente, finirono tra i pochi sopravvissuti. Efisio Luigi Cannas, gravemente ferito, subì un atroce mutilazione. Venne creduto morto e fu evirato, la stessa sorte che toccò a molti altri soldati caduti quel giorno Dogali. Fu ritrovato per caso qualche giorno dopo, agonizzante, da una pattuglia di soldati italiani, a cui era stato ordinato di raccoglier i morti.

Portato all’ospedale di Massaua, dopo un lungo periodo di incoscienza, quando si riprese, rendendosi conto della mutilazione subita, per giorni si augurò che sopraggiungesse la morte. Invece il destino riservò una lunga vita a Cannas: lui, classe 1863, morì alla fine del 1954, a 91 anni, ultimo dei reduci di quella sanguinosa battaglia. Ritornato a Seui, e ripreso il suo lavoro di macellaio, intraprese anche l’attività di venditore di bestiame e di pelli. Rispettato e ben voluto dai suoi compaesani, è stato uno dei fondatori della Festa della Madonna del Carmelo: a lui si deve la presenza nel cocchio – che ogni anno porta il simulacro della Santa da Seui alla località di Arcuerì – anche della statua di Sant’Efisio, al quale era devoto e che aveva invocato in quei terribili momenti nella battaglia di Dogali. Era stato proprio il Santo a donargli la forza per andare avanti nonostante la menomazione.

Battista Imprugas, classe 1865, uno degli ultimi a rimanere in piedi a Dogali, in mezzo alla mischia armato di baionetta, cadde ferito dopo numerosi corpo a corpo. Creduto morto, fu trascinato per vari metri per terra, e abbandonato. Quando vide allontanarsi i guerrieri etiopici, si trascinò tra gli arbusti, evitando gli scempi subiti dai cadaveri dei soldati caduti in battaglia. Una volta allontanatosi, si mise in marcia verso il forte di Moncullo, dove arrivò dopo più di un giorno. Una volta superate le ferite riportate, anche se perse un occhio nei combattimenti, fece ritorno a Triei, dove mise su famiglia, ed ebbe una figlia. Ma nel 1893, mentre svolgeva il suo lavoro da Precettore Postale, nelle vicinanze del paese, fu vittima di un agguato. Ferito gravemente alla trachea, e recisagli la giugulare dai colpi d’arma da fuoco, morì qualche ora dopo, non prima di svelare il nome di chi l’aveva sparato, ai primi soccorritori.

A Roma nel 1889 fu dedicata una piazza agli eroi di Dogali, Piazza dei Cinquecento, nei pressi della Stazione Termini. Fu innalzato un monumento, con alla base una lastra con nomi di tutti i soldati che parteciparono alla battaglia, e sopra di essa un obelisco egizio di Ramsete II.

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Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda