L’orbace, tessuto base del costume sardo, soprattutto maschile, veniva utilizzato per realizzare in particolare “Su Saccu”, un mantello da lavoro dalla fattura semplicissima che proteggeva dal freddo e dalla pioggia. Grazie a una tecnica particolare infatti, la follatura, la lana, lavata e selezionata, veniva divisa in base alla lunghezza delle fibre e poi filata. Le fibre più lunghe costituivano il filo dell’ordito del tessuto, quelle corte il filo della trama.
Una volta tessute le pezze venivano immerse in acqua calda e sapone, pressate e battute finché le singole fibre non si legavano così strettamente le une alle altre da non permettere ai liquidi passare, diventando impermeabili.
Mussolini apprezzò moltissimo le caratteristiche di questo tessuto e avendo fatto dell’autarchia una bandiera, decise che le divise di alcuni corpi come la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale e delle organizzazioni giovanili, Balilla e Giovani Italiane dovessero essere realizzate con quel tessuto.
Dunque sotto il Regime, la produzione di orbace in Sardegna, dove di certo la materia prima, la lana di pecora, non mancava, visse un periodo di grande crescita. Interi paesi come Arbus e Tiana furono impegnati nella tessitura e vissero un breve periodo di prosperità economica. La richiesta era così alta che si passò dalla produzione manuale a quella meccanica.
Furono infatti installate delle “Gualchiere”, macchine azionate dalla forza di pale spinte dall’acqua simili a quelle dei mulini che azionavano una serie di pistoni che battevano il tessuto per infeltrirlo. A Tiana è ancora presenta una gualchiera perfettamente funzionane. Finito il fascismo però e con l’avvento di tessuti sintetici impermeabili, la produzione di orbace è andata lentamente scomparendo, attualmente ci sono pochissimi artigiani specializzati che la producono.
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Fonte: Ogliastra News Michela Girardi