Nell’opera De mirabilibus auscultationibus – opera attribuita in età antica ad Aristotele ma di paternità incerta – si raccolgono curiosità, leggende e credenze dell’antichità. Tra queste, quella che i Cartaginesi avessero proibito la coltivazione di alberi da frutto in Sardegna.

Insomma, pare che avessero ordinato il taglio delle preesistenti vietandone di nuove. La pena per gli inadempienti? La morte, ovviamente. Come obiettivo, l’incremento della produzione di grano nell’isola. Alcuni storici ridimensionano la notizia collocandola all’interno della campagna contro le barbarie puniche, tuttavia altri ci vedono uno schema preciso per giustificare, a posteriori, la mancanza di un determinato prodotto nell’isola. Cioè, contesto idealizzato – terre fertilissime – più mancanza di alberi da frutto, uguale causa materiale imposta esternamente. I dominatori del mare che, cattivi, avevano imposto determinate norme.

Eppure, proprio all’età fenicio-punica risalgono le prime testimonianze sicure di coltivazione dell’ulivo in Sardegna. Notizie sul contrasto del vino sardo in età nuragica – in favore della cerealicoltura – si trovano anche nelle pagine di Diodoro: i Cartaginesi, scriveva, avevano tagliato tutti gli alberi da frutto nel Campidano. Tra questi, mandorli, noci, noccioli, fichi, meli, peri, ulivi, vigneti.

Fonte: 101 perché sulla storia della Sardegna che non puoi non sapere, Antonio Maccioni, Newton Compton Editori

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Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda