Il nome di Matteo Nicolò Boe – insieme a quello del forse ancor più celebre Graziano Mesina – è uno dei più temuti fra quelli dei corposo panorama del banditismo sardo. Un nome associato a una vita di un – pallido, secondo alcuni – attivismo politico, rapimenti e carcere, quello dell’Asinara, la prigione di massima sicurezza dell’Isola che ospitò fra gli altri anche Totò Riina, utilizzata negli anni di piombo per i membri delle Brigate Rosse e che divenne perfino rifugio sicuro per Paolo Borsellino e Giovanni Falcone. Carcere dal quale nessuno riuscì mai a evadere, se non – appunto – Boe, il “bandito dagli occhi di ghiaccio” di Lula, paesino arroccato sui monti del nuorese che da allora assurse quasi a luogo simbolo del banditismo, così come accaduto con Orgosolo.
Matteo Boe fu condannato a sedici anni di carcere nel 1983, in seguito al rapimento di una giovanissima toscana, Sara Niccoli. Secondo le indagini ne fu poi il carceriere, quel “Carlos” che – come raccontò la stessa Niccoli – ne rese meno dura la detenzione, denotando perfino una certa sensibilità artistica nell’offrirle letture di pregio, come L’idiota, di Dostoevskij, e i libri di Franz Kafka. Episodi che in Sardegna rafforzarono il mito del “bandito buono”, già proprio di Graziano Mesina, che forse invano – più e più volte – le forze dell’ordine tentarono di smontare. Rapita in luglio la giovane fu rilasciata a fine ottobre, a fronte di un riscatto che ammontò a circa tre miliardi di lire. Durò poco, però, per il bandito di Lula, questa prima fase in carcere.
Il 1 settembre del 1986 Boe si trovava all’esterno della prigione, per svolgere alcuni lavori all’aperto. Tramortita la guardia – in compagnia di un altro detenuto, Salvatore Duras, che fu però fermato poco dopo – riuscì quindi a fuggire fino alla spiaggia, dove ad attenderlo si trovava un gommone. A bordo del quale – si disse poi – stava anche la moglie Laura Manfredi. Alla fase della latitanza risalgono tutta una serie di altri rapimenti, come quello dell’imprenditore romano Giulio De Angelis, o quello eclatante del piccolo Farouk Kassam, nel 1992, cui fu mozzato un orecchio.
Nello stesso anno – grazie a un’operazione coordinata delle questure di Nuoro, Sassari e Marsiglia – Boe fu arrestato in Corsica, dove si trovava per alcuni giorni di vacanza con la moglie e i due figli, e quindi estradato nel 1995, con una condanna – ufficializzata nel ’96 – a vent’anni di detenzione. Nel 2003 una scarica di pallettoni rivolta al balcone della sua casa di Lula uccise Luisa, la figlia quattordicenne, forse scambiata dagli esecutori per Laura, politicamente molto attiva in paese nella lotta all’istituzione di una normalità amministrativa. Per dieci anni, infatti, il paesino del nuorese rimase senza sindaco.
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Fonte: Ogliastra News Maria Luisa Porcella Ciusa