Con migliaia di follower sui social che seguono i suoi aneddoti sulla lingua sarda, Marina Meloni – conosciuta come Mari Mameda, e ci arriveremo – viene considerata un’“influencer del gallurese”. Nonostante viva da vent’anni a Milano, è sarda doc, con il bollino, ed è stato proprio questo legame incredibile con l’Isola a portarla, nel 2022, a creare i contenuti per cui oggi è famosa. Ma non solo: Marina lavora nell’arredamento di lusso, si occupa di project management e gestione di commesse. E forse – come dice – la sensibilità estetica e comunicativa potrebbe averla appresa proprio durante la sua formazione di architetta.
«Ho avuto il privilegio di nascere in Sardegna, parlare delle nostre lingue ci rende già di per sé ambasciatori della bellezza» spiega l’architetta. «Il gallurese è una lingua sofisticata, tanto dolce quanto imperativa, il suo suono risulta ipnotico per un pubblico abituato al monotono digitale; la sua genesi la rende una gemma esotica persino in terra natia; il fatto che si affianchi alla granitica presenza del sardo rende questo idioma di minoranza della minoranza un esempio di tenacia e rispetto tra le genti.»
La passione per la lingua sarda quindi inizia presto.
«Sono cresciuta in una famiglia trilingue, in una comunità di confine come quella di Budoni (metà galluresofona e metà sardofona). Possedere un minimo di cultura linguistica da noi era fondamentale, per distinguere le parlate ma anche per imparare a esprimersi in modo corretto» racconta. «Quando arrivai a Milano, dopo diverso tempo, capii che per quasi nessuno era normale pensare in 3 lingue diverse, con 3 strutture del pensiero differente, 3 grammatiche, 3 lessici e 3 sensibilità per suoni ed espressioni idiomatiche. Ogni lingua nella mia testa corrispondeva ad una diversa sfaccettatura del mio modo di rielaborare le esperienze e reagire. L’italiano era la lingua dell’analisi asettica della mia scolarizzazione, ma anche del pensiero profondo delle mie letture e delle riflessioni sui grandi temi di studio, come l’architettura, l’arte, la storia, l’antropologia, il femminismo e la storia. Il sardo era la lingua dei valori, dei proverbi antichi, della preghiera, degli esercizi di pazienza, il sardo per me è sempre stata una sorta di lingua liturgica, grazie al quale ritrovare equilibrio e pace. Il gallurese invece è il mio istinto, in questa lingua si esprime il mio impeto ma anche la mia diffidenza e la lettura delle relazioni sociali. La mia mente rimane più acuta è guardinga quando resto sul registro del gallurese. Una sera semplicemente realizzai che, forse, questa realtà valeva la pena essere raccontata. Conoscevo piuttosto bene i social, i meccanismi che li governavano e soprattutto, la possibilità attraverso essi di raccogliere dei riscontri utili a approfondire ulteriormente il tema. In questo modo non avrei semplicemente detto qualcosa, ma avrei instaurato un dialogo con la gente, sia sarda che non, appassionata di lingue minoritarie.»
E la risposta è stata ottima. Migliaia di views, commenti e tanta passione. Del resto, la nostra lingua attrae e affascina. «Coi miei profili social ho semplicemente aperto una finestra, quella che dà sul panorama mozzafiato della cultura linguistica dei sardi. Il riscontro positivo è stata una grande conferma: il valore di cui siamo custodi è altissimo, capace di esercitare un forte fascino su tutte le fasce d’età, anche le più giovani. È molto soddisfacente usare un contenitore che può raggiungere tantissime persone diverse tra loro, anche molto lontane, per passare un messaggio al quale si tiene tanto. Questo ci dà la conferma che siamo noi ad essere padroni dei nuovi mezzi di comunicazione, non viceversa, e che la cultura sarda è perfettamente idonea ad essere veicolare coi nuovi strumenti perché dinamica, espressiva e persino cool.»
Riuscire a focalizzare l’attenzione sulla lingua sarda è importantissimo per renderla immortale, su questo non si può essere che d’accordo, e farlo con i social è un modo grandioso per arrivare a quante più persone possibili.
«Dobbiamo rassegnarci che il sardo, così come il gallurese e le altre lingue della Sardegna, non sono (solo) una voce dal passato, se pur glorioso. I social, con la loro velocità e interazione trasversale di temi e sensibilità, sono un esercizio costante dell’attualità e, di conseguenza, dell’esercizio del parlato. Per questo usare i social nelle nostre lingue ci darà un vantaggio, non solo come apporto di pubblico, ma anche di laboratorio collettivo proiettato nel futuro» continua Marina. «Facendo qualche esempio: su TikTok o Instagram io ho la possibilità di far ascoltare a un pubblico più vasto di una piazza di paese una poesia in sardo, e quindi far sapere a molte persone che la Sardegna vanta una grande tradizione in questo campo; ma posso anche mostrare un influencer che spiega il suo make-up e il suo outfit in sardo… e questo tipo di contenuto da un lato amplierà il pubblico capace di entrare in contatto col sardo, ma soprattutto costringerà il creator a ragionare quell’aspetto della vita in sardo, creando di fatto qualcosa di inedito per la lingua, costringendola a evolvere e prestarsi alla contemporaneità.»
Uno dei paragoni che l’influencer del gallurese ha fatto è quello sulla Sardegna e Star Wars: «In Star Wars i personaggi provengono da mondi anche molto lontani gli uni dagli altri. La loro interazione, nella narrazione, non è stata risolta con l’imposizione di una lingua comune, bensì con l’usanza di parlare ognuno la propria e di imparare a capire quella altrui. Questo stratagemma è stato adottato anche dai sardi! In Sardegna infatti ci sono 5 lingue diverse, oltre l’italiano, ma prima che quest’ultima diventasse la lingua franca per tutti i sardi riuscivano benissimo a comunicare gli uni con gli altri. I sardofoni sono la maggioranza ma, nonostante questo, le altre lingue si sono conservate proprio in virtù di questa interazione linguistica basata sul reciproco riconoscimento e rispetto. Pertanto, non è affatto strano che, soprattutto nelle zone di confine, sentire conversazioni condotte in 2 o 3 lingue diverse, dove ogni attore si esprime nella sua.»
E ora arriviamo alle origini del nome che l’architetta-influencer usa sui social: Mari Mameda: «In realtà è un nome nato in ambito professionale, io sono un architetto e mi occupo di design. Anni fa stavo cercando un nome col quale presentarmi come brand e accostai la prima sillaba del mio nome, Ma di Marina, con quella del mio cognome, Me di Meloni, concludendo con D di design e A di architettura. Il gioco di parola mi fece immediatamente sorridere perché “ma meda” in sardo significa “ma molto!” e solitamente viene usata come esclamazione.»
C’è chi dice che chi nasce in quest’Isola non possa fare a meno di sentire, anche quando lontana, un legame, un filo che unisce il cuore con questo lembo di terra di granito e mirto. E forse è proprio così.
«La Sardegna è una calamita che ti tiene piantato per terra. Soprattutto quando giri il mondo, e vivi in contesti molto vasti, piuttosto competitivi e aggressivi come possono essere le grandi città ma anche il mondo del lavoro, il mercato internazionale ecc. vedi tante persone “perdersi”, cambiare costantemente opinione e aspetto per compiacere la moda del momento, fare di tutto per impressionare persone per le quali non vali niente, commettere ogni tipo di azione, anche la più scorretta, con assoluta lucidità e senza nessuna struttura. Se sei sardo invece forse ti avranno insegnato il senso dell’onore, a rispettare le persone e a pretendere rispetto in quanto tale a tua volta, che ci sono determinati valori non negoziabili neanche per tutto il denaro del mondo, neanche sotto la peggiore delle minacce e soprattutto, sarai sempre consapevole che qualsiasi cosa accada, tu una casa (e una comunità) ce l’hai e puoi sempre tornarci, piuttosto che scendere a certi compromessi, che per altri, sembrano quasi obbligati. Ci si sente molto liberi su un’isola, quasi intoccabili.»
E forse – spiega – tornerebbe, un giorno. «O farò più avanti e indietro. Posso essere sarda ovunque io sia.»
Chiude con un aneddoto.
«Non so se sia il più interessante ma sicuramente uno dei più divertenti. Tempo fa pubblicai un video sulla parola “Eja” che andò virale. Dopo poco tempo iniziai a ricevere un fiume di commenti e messaggi privati di persone albanesi. Questi mi ringraziavano del fatto che finalmente qualcuno raccontava della prova inconfutabile che il sardo sia una lingua discendente dall’albanese (!) Questo perché in albanese “eja” significa “vieni” (che in sardo si dice “beni”) mentre in sardo significa “sì”. Un caso di omonimia tra due lingue lontanamente imparentate (sono entrambe indoeuropee), quello che solitamente viene chiamato un “falso amico”. Alla mia risposta che il sardo è una lingua neolatina e che in Sardegna dei Romani c’è traccia ma degli albanesi no… si è scatenato un piccolo putiferio che andava dalle minacce ai tentativi di corruzione perché raccontassi sui miei canali che i sardi discendono dagli albanesi, il sardo sia una lingua illirica e la parola “eja” ne sarebbe la prova maestra. Oggi questa piccola guerra linguistica mi fa sorridere tantissimo.»
L’articolo Mari Mameda, l’influencer del gallurese che spopola sui social: «La Sardegna? Una calamita che tiene piantati a terra» proviene da ogliastra.vistanet.it.
Fonte: Ogliastra News Michela Girardi