La panificazione in Sardegna è un’arte che si tramanda da millenni; sono tantissimi i tipi di pane che i sardi hanno sempre fatto con le loro mani. Non solo carasau, guttiau, civraxiu, frattau e pistoccu: quanti di voi hanno mai sentito nominare il pane di ghianda?
Nella nostra Isola la ghianda è largamente diffusa. Su Pan’Ispeli, questo il nome in lingua, veniva preparato fin dall’epoca del Neolitico nella zona dell’Ogliastra, in tempi in cui c’era molta fame, e venne citato persino da Plinio il Vecchio, scrittore e governatore dell’antica Roma, nella sua enciclopedia “Naturalis Historia”, nella quale viene descritto come “un pane impastato con argilla del quale si nutrono i Sardi”.
Per la sua preparazione si sceglievano le ghiande più mature, che venivano sbucciate e lessate e l’acqua filtrata mediante uno strato di argilla, erbe aromatiche e cenere. Una volta lessate le ghiande, si formava una sorta di “polenta” che poi veniva tagliata a pezzi e fatta asciugare al forno o al sole e poi consumata. Ma perché si usava proprio l’argilla? In in epoca primitiva in Sardegna era diffusissimo il culto della Dea Madre, e si credeva che l’argilla fosse il suo sangue e chi si cibava del pane con le ghiande si sarebbe guadagnato la salvezza nell’aldilà. Un pane dal colore quasi nero cenere, che a quanto pare era molto buono, tanto che veniva preparato e consumato in Ogliastra fino agli anni 50 del secolo scorso.
[A cura di Stefania Lapenna – Articolo scritto originariamente il 19 febbraio 2019]
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Fonte: Ogliastra News Mario Marcis