La loro storia ha qualcosa in comune con altri dolci tipici: preparati in origine per la celebrazione di determinate ricorrenze religiose, vengono ormai gustati durante tutto l’anno.
Antonio Gramsci, in una delle sue lettere dal carcere, le cita augurandosi un pranzo ideale con la famiglia: «Sono sicuro che ci vedremo ancora tutti assieme, figli, nipoti e forse, chissà, pronipoti, e faremo un grandissimo pranzo con kulurzones e pardulas».
Ma com’è fatto questo dolce così amato? Is pardulas sono come delle piccole tortine con un ripieno di ricotta e zafferano profumato con la scorza di arancia o limone e racchiuso da una coroncina di pasta violata lavorata a mano. La pasta “violada” è un impasto di semola, acqua e strutto (o olio) usato in molte preparazioni sarde, come le seadas e le panade. Questo tipo di pasta, detta anche “pillu” in sardo, viene plissettata con gesti che richiedono manualità e maestria, tramandati di generazione in generazione. Il cestino che si crea appunto per racchiudere il ripieno ha solitamente dalle quattro alle otto pieghe (cosidette spizzicorrusu o biccos) che si protraggono verso l’esterno. Il dolce somiglia alla fine ad una stella con più punte e con un “cuore” tondo e bombato.
Oltre alle “pardulas de arrescottu” esistono delle varianti a base di formaggio fresco di giornata, più diffuse nel Centro Nord Sardegna. Queste sono chiamate “pardulas de casu” o “casadinas”, a seconda del dialetto, o formagelle in italiano. Possono essere realizzate con formaggio di pecora oppure di mucca e spesso hanno una forma più schiacciata e prevedono l’aggiunta di uvetta sultanina nel ripieno. A seconda della consistenza del ripieno, questi dolcetti possono essere di due tipi: con ripieno cremoso e con ripieno alveolato e soffice, simili a tortine al formaggio. Questo dipende in larga parte dalla percentuale di uova utilizzata nella preparazione.
In origine pare non fossero tonde, ma che avessero invece una forma a mezza luna e venissero chiamate “padruas a coccoi”. La preparazione era associata alla Pasqua, quindi alle fasi lunari, da cui forse la caratteristica forma.
Un altro fatto storico e curioso è legato invece al Giorno dei morti: si narra infatti che le pardule fossero tra i dolci offerti alle “animeddas”, le anime dei morti; in alcuni paesi dell’oristanese e del cagliaritano rappresentavano un omaggio a Maria Puntaoru, una sorta di strega appartenente all’immaginario ancestrale sardo.
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Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda