L’Italia dichiarò guerra alla Turchia il 29 settembre del 1911, aprendo un conflitto per la conquista della Libia, allora sotto la dominazione di Istanbul. La nazione africana all’epoca era divisa in tre aree culturali: la Tripolitania, la Cirenaica e il Fezzan. L’avanzata dell’esercito italiano fu rapida e le prime due zone furono occupate ai primi di novembre. Al contrario, nel Fezzani soldati trovarono l’aspra resistenza dei turchi e della popolazione indigena.
Così il Comando del Corpo di Spedizione in Libia richiese l’invio di cani adatti per le operazioni militari, questo anche per difendersi dalle continue incursioni negli avamposti militari italiani dalle formazioni nemiche.
Al Comando di Stato Maggiore di Roma venne suggerito l’impiego dei cani sardi, che definì nella nota di richiesta di autorizzazione indirizzata al Ministero di Guerra: “cani da pastore, che vengono impiegati nell’Isola sia come cani da guardia per greggi, sia per la caccia grossa. Sono cani mastini di razza speciale, intelligentissimi da fiuto finissimo”.
Sempre nel documento venne indicato di assoldare un centinaio di questi cani tramite i soldati richiamati dalle zone della Gallura, Nuorese, Ogliastra e Lugudoro. Infatti i militari avrebbero dovuto fare ritorno in licenza in famiglia, e per conto del Comando Militare di Cagliari acquistare ad un prezzo convenuto dai quattro ai sei esemplari canini nel proprio paese d’origine.
Non a caso furono scelte queste zone: visto il tipo di economia agropastorale, era più facile reperire la tipologia di cane richiesto.
Una volta ottenuta l’autorizzazione da parte del Ministero della Guerra, venne così formato il gruppo dei cento cani della Sardegna costituito per gran parte da esemplari tigrati dal pelo irto e per la parte restante da cani da caccia. Avevano un’età compresa dai due ai tre anni, ma con qualche esemplare più anziano in ottime condizioni dall’indole particolarmente feroce.
Così i cento cani e i soldati incaricati di accompagnarli partirono da Cagliari il 30 Dicembre 1911, giungendo a Napoli il giorno successivo e approdando in seguito in Libia. Qui gli esemplari canini vennero divisi in quattro unità: una trentina a Bengasi, una ventina a Coms, lo stesso numero a Derna, e i restanti a Tripoli.
La guerra italo-turca terminò il 18 ottobre 1912, ma i contrasti con la popolazione libica continuarono durante l’occupazione italiana della regione africana.
I militari, reduci del conflitto in Libia, hanno sempre parlato elogiando i cani sardi, così come testimoniano positivamente i dispacci dell’esercito italiano dell’epoca.
Molti soldati sardi ritornati nell’Isola dalla Libia non parlavano del conflitto e delle vicende dei cani, utilizzati per guardia da campo, ma anche mandati in avanscoperta o stanare il nemico.
Risultavano molto importanti per sventare le imboscate, ma in alcuni casi venivano utilizzati senza scrupolo per trasportare esplosivi nelle linee nemiche o trucidare ribelli indigeni.
Ufficialmente risulterebbe che questi cani non siano mai ritornati nell’Isola una volta finita la guerra, ma questa verità sarebbe sconfessata da documenti e fotografie di soldati rientrati con i fidi compagni o i cuccioli di questi.
La maggior parte degli esemplari sarebbe rimasta in Libia, oltre ai tanti periti in battaglia, diversi sarebbero abbattuti perché diventati molto pericolosi per l’uomo.
Altri sarebbero stati lasciati liberi, come successo in altre colonie dopo l’abbandono o la perdita dell’Italia di queste terre, andando a formare dei branchi di cani randagi temuti dai villaggi.
I cani utilizzati in questa guerra, analizzando le descrizioni e il materiale fotografico, sembrerebbero esemplari del tutto similari ai cani autoctoni sardi, discendenti dal Dogo Sardesco.
A noi sono arrivati i nomi di tre cani che si distinsero nel conflitto, salvando la vita a tanti militari italiani: Leone, Fide cun Nemo e Astula. Quest’ultimo potrebbe aver ispirato lo scrittore di Seui Filiberto Farci per il racconto “Astula, il mastino Fonnese”, contenuto nel suo libro “Racconti di Sardegna”. Il brano racconta la vicenda di un pastore e del suo cane nella guerra in Libia. Per chi volesse leggere i documenti e approfondire l’argomento consigliamo il bellissimo libro di Roberto Balia: “Canis Gherradoris”. Una ricerca storica e ricca di documenti inediti sulle razze autoctone sarde, che illustra tra le tante anche questa vicenda.
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Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda